“Mia nonna era femminista?”, si chiede Diana J. Torres in “Fica Potens”. Risposta affermativa, ma senza un solo ricordo che renderebbe l’esperienza della nonna realmente assimilabile a un femminismo consapevole, in rima con elaborazioni concettuali o lotte per i diritti in piazza. Tuttavia è evidentemente femminista dire di “no” a un uomo che la possiede quasi legalmente per trascorrere del tempo con altre donne anziché dedicarsi solo ed esclusivamente alla cura della casa e della famiglia.
Un passaggio, questo, che risuona anche nella mia esperienza di vita. Da meridionale, da ragazzina di periferia prima e giovane donna di città poi, impegnata a raccontare a tutte le compagne dei libri che mia nonna non aveva in casa, o del fatto che un coming out di qualsivoglia natura è impossibile da immaginare del tutto, per me e per molte mie compaesane. E spiegare che lì da dove veniamo noi non esistono spazi di ritrovo per giovani che non siano cattolici, che il circolo arci più vicino è a 10 chilometri e che si sta talmente strett* quando si è così in poch* che fregarsene dell’opinione altrui è veramente un atto sovversivo e una prova di coraggio.