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Il personale è geografico

Vita da queer e femminista in periferia: la questione territoriale troppo spesso esclusa o sottovalutata
illustrazione di una bussola con i colori della bandiera LGBTQIA+
illustrazione: Francesca Stella Ceccarelli

“Mia nonna era femminista?”, si chiede Diana J. Torres in “Fica Potens”. Risposta affermativa, ma senza un solo ricordo che renderebbe l’esperienza della nonna realmente assimilabile a un femminismo consapevole, in rima con elaborazioni concettuali o lotte per i diritti in piazza. Tuttavia è evidentemente femminista dire di “no” a un uomo che la possiede quasi legalmente per trascorrere del tempo con altre donne anziché dedicarsi solo ed esclusivamente alla cura della casa e della famiglia. 

Un passaggio, questo, che risuona anche nella mia esperienza di vita. Da meridionale, da ragazzina di periferia prima e giovane donna di città poi, impegnata  a raccontare a tutte le compagne dei libri che mia nonna non aveva in casa, o del fatto  che un coming out di qualsivoglia natura è impossibile da immaginare del tutto, per me e per molte mie compaesane. E spiegare che lì da dove veniamo noi non esistono spazi di ritrovo per giovani che non siano cattolici, che il circolo arci più vicino è a 10 chilometri e che si sta talmente strett* quando si è così in poch* che fregarsene dell’opinione altrui è veramente un atto sovversivo e una prova di coraggio.

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© Riproduzione Riservata

Picture of Maria Elena Memmola Tripaldi

Maria Elena Memmola Tripaldi

Scrive da quando ha imparato, ha pubblicato un romanzo psicologico e ideato il podcast “Lettera Femmina” in cui parla di questioni di genere e discriminazione. Lavora in un centro antiviolenza a Bologna, ha pubblicato articoli e racconti su alcune riviste online, cura rubriche motivazionali e non si sazia mai di lettere. Pratica la curiosità e nutre i desideri con devozione, brindando rigorosamente senza sentimenti. Femminista un passetto alla volta, lavora con le parole e la comunicazione per cambiare le cose.

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