Un documentario racconta il collettivo fuorilegge delle Janes

Il documentario The Janes racconta un collettivo che consentiva di abortire in modo sicuro quando le donne non potevano scegliere. Ma quello dell'aborto è un diritto ancora in crisi
le Janes con i cartelli segnaletci della polizia di chicago
courtesy of HBO

Presentato in anteprima al Sundance Festival del 2002, The Janes è un documentario che racconta uno spaccato della lotta ai diritti civili nella Chicago degli anni ’60. Si scende in piazza e si lotta per i diritti delle donne, per l’uguaglianza e per la pace. Eppure quasi ovunque negli Stati Uniti abortire era illegale. Le donne incinte non possono lavorare, i contraccettivi vengono prescritti solo a quelle sposate e in molte ricorrono a qualsiasi metodo pur di interrompere una gravidanza non desiderata: come scappare dal paese, abbandonare il/la figli* appena nat* oppure rivolgersi alle organizzazioni mafiose per abortire clandestinamente. 

Soluzioni costose o dalle conseguenze terribili: infatti i reparti dedicati agli aborti settici iniziano ad affollarsi e le morti aumentano sempre di più. 

Il documentario diretto da Tia Lessin ed Emma Pildes mette in luce una storia poco conosciuta che segna profondamente questo periodo: quella del collettivo The Janes, letteralmente “le Jane”. Si tratta di sette donne provenienti dai movimenti sociali che, non potendo più rimanere indifferenti, decidono di mobilitarsi per offrire aborti illegali, ma sicuri. 

Dal 1969 al 1973 (anno in cui è diventato legale abortire a Chicago con la storica sentenza Roe v. Wade) ne hanno garantiti 11mila con la formula dell’offerta libera: chi poteva pagare lo faceva anche per chi non poteva permetterselo. 

Nessuna di loro si chiama davvero Jane, ma l’uso di questo nome comune è legato agli annunci che il collettivo dissemina per la città. Con la frase: “Sei incinta? Non vuoi esserlo? Chiama Jane” e un numero di telefono. A rispondere, dall’altra parte della cornetta, donne di tutti i tipi ed estrazione: è qui che le Jane si rendono conto della portata della situazione.

Sotto copertura, le attiviste si recano a casa di coloro che vogliono abortire per stabilire un contatto, spiegare loro cosa sarebbe successo e offrire un supporto alla pari. Nel documentario vediamo i plichi dei fascicoli relativi alle pazienti che recitano “terrorizzata”, “ha paura del dolore”, “attenzione – figlia di un poliziotto”. “È stato devastante ascoltare le storie di alcune donne”, confessa Tia Lessin, “le altre non possono più raccontarle. Non sono sopravvissute”. Nel documentario appaiono non solo alcune delle Jane (Heather Booth, Judith Arcana, Marie Leaner, Diane Stevens ed Eleanor Olive) ma anche alcune donne che hanno abortito, nonché avvocati e medici coinvolti.

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Francesca Stella Ceccarelli

Visual designer, illustratrice e docente. Laureata in Grafica e Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, ha lavorato come designer per brand nazionali e internazionali come IKEA, Lush, Deanocciola (per cui è art director) e per diverse testate giornalistiche sia settoriali che generaliste, tra le quali: Uomo&Manager, Lusso Style, Cioè Magazine, Corriere dello Sport, FQ Millennium. La passione per il design editoriale nel 2019 la porta a fondare la testata giornalistica Frisson, unica nel suo genere, che parla di femminismi, sessualità e diritti, di cui è direttrice creativa oltre che editrice.

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