Una performance di danza che sembra voler scandire le fasi della perdita cercando nel vuoto e nel terreno qualcosa a cui aggrapparsi o da cui liberarsi. “Irene” è lo spettacolo con cui inizia la nostra esperienza tra le pellicole e le performances della ventunesima edizione di Gender Bender, il festival internazionale organizzato dal Cassero LGBTI+ Center di Bologna tra il 31 ottobre e l’11 novembre 2023 alla sua ventunesima edizione che porta in scena gli immaginari legati alle rappresentazioni del corpo, delle identità e del genere.
“Irene”, di Alessandro Marzotto Levy, è come un movimento cauto del corpo all’interno delle fasi del lutto. Come doversi districare all’interno del dolore anche grazie alla rielaborazione delle emozioni e il tentativo di afferrare chi non c’è più e resta nella quotidianità di chi rimane al mondo, con più o meno rabbia a seconda della stagione della performance e della maturazione del momento di accettazione. I movimenti del corpo del performer attraversano la scenografia in tutte le sue parti e in tutti i suoi materiali, fino a lasciarla pacificamente proprio con ciò che più spesso di un lutto o di una perdita rimane: i ricordi.
Se invece la perdita fosse un incidente che rivela al nostro corpo l’esistenza di qualcosa di irrisolto, la pellicola “O acidente” lo saprebbe raccontare con i silenzi e le battute mancanti che fanno parte della trama e che lasciano tanti interrogativi a chi guarda. Il film di Bruno Carboni è stato realizzato nel 2022 in Brasile e vede in scena l’attrice Carol Martins nei panni di Joana. Coinvolta in un incidente che ha poco di accidentale e che vede responsabile una donna che, alla guida della sua auto e con al fianco il figlio, decide di superare la protagonista che sta pedalando finché la stessa, fermatasi per chiedere spiegazioni, viene ignorata e volutamente investita mentre si? afferra al cofano anteriore dell’auto. Anche se Joana vorrebbe tenere nascosto l’incidente alla sua compagna, un video dell’incidente – girato dal bambino dal sedile del passeggero – finisce in rete e la costringe a prendere in mano la situazione fino a intessere una relazione enigmatica con la famiglia responsabile dell’incidente. Sembra una storia dentro cui la violenza psicologica che si consuma nella famiglia comincia a interessare e riguardare Joana che, dopo l’aborto causato dall’incidente, frequenta il bambino sempre più cercando di capire come sta e quale dei suoi genitori potrebbe essere abusante.
Salutiamo un altro anno di appuntamenti con la performance nell’atmosfera di prossimità e vicinanza in cui ci posiziona Daniele Ninarello con la sua “NOBODY NOBODY NOBODY. It’s ok not to be ok”, in cui torna in scena da solo con il suo corpo e con la musica, realizzando quelle che definisce “proteste” nate da pratiche meditative del periodo pandemico. L’andamento della performance è lento e circolare, il finale chiude e risponde in maniera quasi logica alla frustrazione trasmessa dai movimenti dell’autore nella prima metà della rappresentazione. È come se solo dopo la meditazione, il contatto con la musica e con il pubblico, il corpo di Ninarello si liberasse e fosse capace di muoversi con fluidità.