Occhi al cielo, bocca socchiusa, espressione languida e un corpo di marmo sospeso sulle nuvole: l’Estasi di Santa Teresa d’Avila non è semplicemente una scultura, ma la pura incarnazione del godimento di carne e spirito provocato dall’incontro con Dio.
L’opera d’arte realizzata da Gian Lorenzo Bernini tra il 1645 e il 1652 si può ammirare a Roma, all’interno della cappella Cornaro, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria. Raffigura la transverberazione, l’atto di una creatura angelica o divina di trafiggere il cuore di una persona credente o santa con un oggetto affilato. E infatti Teresa, nell’opera di Bernini, non è sola: accanto a lei spicca un cherubino che tiene in mano una freccia con una punta di ferro infuocata e sembra pronto a trafiggerla. L’idea di Bernini prende ispirazione da uno dei passi più importanti di Vita, l’autobiografia in cui la santa descrive le sue estasi e le sensazioni che provocano.
“Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi che di Dio”.
Nei suoi numerosi scritti emerge un modo di narrare rivoluzionario, che è stato analizzato da tant* studios* di filosofia, teologia, psicologia. Tra le figure di riferimento contemporanee spicca Julia Kristeva. Il suo libro si intitola Teresa, mon amour – Santa Teresa d’Avila, come un romanzo (Donzelli, 2009) e racconta le vicende di Sylvia Leclercq, psicanalista e chiaro alterego dell’autrice che in modo quasi inconsapevole si innamora della santa e inizia a informarsi sulla sua vita. Francese, atea e femminista, Kristeva sembra apparentemente lontanissima da Santa Teresa, almeno fino a quando si inizia a leggere il suo romanzo e si comprende al volo il carattere rivoluzionario e fermamente femminista della santa.
La finzione si alterna alla documentazione e allo studio, non mancano interi passi dei suoi diari e l’analisi della sua biografia, soprattutto da un punto di vista storico e psicologico. In particolare, l’autrice si sofferma sulle parole usate da Teresa nei suoi diari, che si rivelano altamente voluttuose e non convenzionali per il periodo e per il soggetto dei suoi racconti. “Quando ha inizio la pena di cui parlo, sembra che il Signore rapisca l’anima e l’immerga nell’estasi; non c’è tempo pertanto, di sentir pena né di patire, perché subito sopraggiunge il godimento”. Queste parole già allora provocarono scandalo, perché poco consone all’ambiente ecclesiastico.
D’altronde, però, Teresa si lasciava trasportare dalla scrittura e trovava vocaboli perfetti per descrivere le sue sensazioni durante le estasi mistiche, che portavano addirittura il suo corpo a levitare. Il dettaglio non sfugge a Bernini, che raffigura la santa mentre indossa un’ampia veste e sembra fluttuare su una nuvola. Mentre l’abito è perfettamente scolpito, la nuvola appare come un pezzo di pietra grezza, con tante sfaccettature poco curate, proprio per marcare la distanza tra la santa che sta vivendo un momento mistico unico e la superficie da cui si eleva.