I cambiamenti del vivere quotidiano generati dalla pandemia sono moltissimi; nessunə di noi avrebbe mai immaginato di trascorrere così tanto tempo tra le mura domestiche, in isolamento – perlomeno fisico – dal resto del mondo. Improvvisamente abbiamo rimodulato le nostre esistenze nello spazio limitato delle nostre abitazioni e per molte persone tutto questo è coinciso con l’opportunità di organizzare diversamente il proprio tempo e le relazioni interpersonali. Il ruolo dei social media e, più genericamente, delle tecnologie digitali è stato determinante: dalle riunioni online via Zoom o Teams alle videochiamate su Skype e Whatsapp, la nostra vita professionale e sociale ha subìto una mutazione profonda, in un certo senso radicale. E l’immagine dei nostri corpi, il modo in cui appariamo agli altri e alle altre si è palesato in modo costante e frequente attraverso gli schermi digitali dei nostri smartphone e dei nostri PC. La possibilità di specchiarsi, per secoli remota e appannaggio di pochi, è diventata una sorta di condanna ineludibile, un’abitudine quotidiana ricorrente, a cui non ci si può sottrarre e che genera conseguenze piuttosto rilevanti rispetto alla percezione e alla rappresentazione di sé.
I dati attualmente disponibili mostrano un significativo incremento delle richieste di interventi di chirurgia estetica negli ultimi due anni e, non a caso, la parte del corpo che la maggioranza delle persone desidera modificare è quella del viso, in particolare l’area degli occhi e della fronte, messa ancora più in evidenza dall’uso della mascherina. Ma l’elemento che più colpisce e su cui vale la pena riflettere riguarda le giovani donne, ragazze e bambine della Generazione Z (nate tra il 1995 e il 2010): Marco Iera, noto chirurgo plastico milanese, raccontava a Gente qualche tempo fa che è sempre più frequente da parte loro la richiesta di ottenere non tanto le fattezze di modelle o beauty influencer quanto l’applicazione reale, concreta sul proprio volto di alcuni filtri Instagram.