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Cattivissime loro: abusi, violenza sessuale e follia tra cinema e serie TV

Le villain, la “cattive” femminili vengono quasi sempre associate alla follia e al disagio mentale causati da traumi e abusi sessuali. Ma è davvero questo l’unico modo possibile di raccontare la cattiveria delle donne?
Articolo Frisson n.10 - Cattivissime loro
credit: Daniil Onischenko (unsplash.com)

Il male, si sa, ha indubbiamente il suo fascino. D’altra parte, senza figure antagoniste non avremmo nessuna storia da raccontare. Qualsiasi struttura narrativa, che sia di tipo letterario, iconografico o cinematografico, necessita del cosiddetto “cattivo” che rompe gli equilibri iniziali e costituisce, a tutti gli effetti, il motore della vicenda narrata. Esistono, tuttavia, diverse tipologie di “cattivi” e “cattive”: a seconda della ragione che li muove, questi personaggi assumono caratteristiche anche molto diverse tra loro. C’è il villain, il cattivo che agisce spinto da sentimenti di gelosia e invidia nei confronti del protagonista; c’è l’antagonista “ideologico” che ostacola l’eroe per ottenere potere e controllo con l’obiettivo di conquistare il mondo. C’è persino il cattivo puro, colui che incarna la malvagità assoluta, quella che non si spiega in nessun modo e che non ha logica alcuna: è così per Voldemort, l’antagonista del giovane Harry Potter, o per il glaciale e implacabile Re della Notte della notissima serie tv Il trono di spade.

In alcuni casi, poi, alla base del comportamento oppositivo c’è la follia, intesa sia come malattia mentale vera e propria che in senso lato, come stato d’animo alterato, fortemente instabile e al limite di ciò che comunemente si intende per normalità psichica. I personaggi “cattivi” aderenti a quest’ultima tipologia sono certamente tra i più interessanti proprio perché il loro movente è comprensibile ma solo fino a un certo punto: avvolti da un alone di mistero impenetrabile, i villain folli diventano spesso figure iconiche dell’immaginario collettivo. È stato così per Joker, per Hannibal Lecter ma soprattutto è stato ed è così per la maggior parte delle villain di genere femminile. 

Il connubio tra follia e femminilità risulta infatti decisamente più frequente rispetto al suo corrispettivo maschile. Sembrerebbe insomma che mentre le ragioni del male che abitano i personaggi maschili possano essere di diversa natura, laddove ciò si manifesta in un corpo biologicamente e culturalmente definito come femminile tutto riconduce, quasi inesorabilmente, alla follia.

Le cattive della letteratura, del teatro, del cinema e della televisione sono quasi sempre affette da problemi psichici e turbe mentali: e l’origine di tale schema narrativo ricorrente può essere rinvenuta  negli stereotipi sessisti e maschilisti tipici della società patriarcale. Al genere femminile si attribuiscono da sempre caratteristiche di fragilità innata – non a caso si parla di “sesso debole” – e di predisposizione all’instabilità e alla vulnerabilità, motivate anche da condizioni biologiche specifiche. Alle donne è storicamente affibbiato il cliché della vulnerabilità causata dal ciclo mestruale, dal trauma del parto, dalla condizione ormonale: non è di certo un caso che il termine “isteria”, usato comunemente per descrivere uno stato di profondo nervosismo associato a comportamenti irascibili e violenti, venga proprio dal greco hystera, che significa “utero”. 

A questa concezione negativa del femminile va poi associata una condizione di subalternità e oppressione altrettanto storica. La violenza di genere presenta caratteristiche sistemiche: non si tratta di un fenomeno emergenziale, legato cioè a un contesto specifico o a circostanze straordinarie ma, al contrario, si manifesta in relazione a un sistema sociale di predominio maschile.

Insomma: se è vero che la follia ha spesso tra le sue cause principali l’aver subito soprusi, abusi e vessazioni, non c’è da stupirsi se i personaggi femminili che rappresentano il male siano, il più delle volte, folli.

Negli ultimi anni il cinema ha scelto di indagare la vita pregressa di personaggi villain: dal già citato Joker al recentissimo Cruella sono molti i film che raccontano come e perché i folli ma soprattutto le folli diventanoi tali. 

L’inversione di ruolo da antagonista a protagonista ha determinato perciò un cambiamento della prospettiva, un nuovo focus che rende queste figure un po’ meno cattive del solito, assottigliando il confine netto tra bene e male.

Osservando più da vicino le storie che raccontano il prequel delle figure femminili che rappresentano il connubio violenza-follia, non si può fare a meno di notare quanto siano costellate da molestie e abusi sessuali. Da Giovanna d’Arco a Beatrix Kiddo di Kill Bill, da Daenerys Targaryen alla protagonista della miniserie TV Alice Grace, questo schema narrativo si ripete molto frequentemente, evidenziando quanto società patriarcale, sessualità e follia siano elementi correlati. 

Psicoterapeuta specializzata in sessuologia, Veronica Vizzari è docente in numerose scuole di psicoterapia. In particolare, ha dedicato la sua attenzione scientifica e professionale ai temi dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, approfondendo la linea di confine tra salute e patologia e transitando attraverso lo studio clinico delle parafilie – ovvero i comportamenti sessuali considerati atipici – e del sesso estremo.

«Le psicopatologie sono inevitabilmente legate alla società e ai suoi aspetti culturali prevalenti: questo è ancor più vero se si tratta di patologie che afferiscono alla sfera della sessualità». Viene da chiedersi, tuttavia, se la deriva folle per le bambine e le donne abusate sessualmente sia del tutto inevitabile oppure no: «Indipendentemente dal genere, chiunque subisca molestie sessuali avrà dei danni psichici la cui entità, tuttavia, dipende da molte variabili. Innanzitutto c’è un fattore determinato dalla tipologia di molestia o abuso subìto così come dal rapporto esistente tra soggetto abusato e soggetto abusante – afferma la psicoterapeuta. Che sottolinea poi quanto sia soggettivo, e imprevedibile, il modo di reagire della vittima e quanto conti la durata dell’esperienza traumatica: «Subire un abuso è diverso dall’averne subiti molti, in modo reiterato, nell’arco del tempo», conclude Vizzari.

La violenza sessuale perpetrata sui corpi delle bambine e delle donne si palesa ancora oggi drammaticamente e  in diverse forme. Attraverso la narrazione delle storie di “cattive” folli, abusate sessualmente ma anche emotivamente specie durante l’infanzia, è possibile imprimere una svolta rispetto alla cosiddetta cultura dello stupro e al male gaze che elabora le figure femminili solo sulla base del desiderio maschile eterosessuale. D’altro canto, però, si corre il rischio di incorrere in un appiattimento del femminile stesso che nella sua versione “negativa” corrisponde a un modello univoco e limitante. 

Nel suo saggio Eroine (edizioni Tlon, 2020) Marina Pierri, giornalista e critica televisiva, declina al femminile il Viaggio dell’Eroe, la struttura narrativa che secondo lo studioso Joseph Campbell è alla base di qualsiasi storia. Pierri rielabora la teoria campbelliana utilizzando alcune figure femminili delle serie TV che rappresentano gli archetipi di questo viaggio. L’ultimo archetipo di questo percorso circolare, la cui fine corrisponde a un nuovo inizio, è proprio quello della Folle: «Il dodicesimo archetipo-personaggio è indomabile. È un principio vitale talmente vibrante da consentire all’Eroina di rimettersi in viaggio non appena riprende fiato. Non finge, non mente, è uguale a se stessa e si mostra subito per quel che è», scrive Pierri, che sceglie di abbinare l’archetipo della Folle alla protagonista della serie tv Fleabag. Anche in questo caso siamo di fronte a un personaggio che ha avuto diversi traumi, a cominciare dalla perdita della madre durante l’infanzia, e che di certo non manca di vissuti drammatici e angoscianti. Eppure, la protagonista scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge è capace di restituire a chi guarda tutte le contraddizioni, la complessità e l’indeterminatezza di una donna che considera la sua libertà come il valore più prezioso.
Il concetto stesso di follia, d’altra parte, si definisce anche attraverso i costrutti sociali e culturali di un’epoca. Lo dimostra magistralmente proprio un film, intitolato Hysteria (2011) e diretto da Tanya Wexler, che racconta la storia di questa presunta “malattia delle donne”. La protagonista femminile, Charlotte, è considerata isterica da molti, a cominciare da suo padre, il dottor Dalrymple, che proprio di questa pseudo-patologia si occupa. In realtà Charlotte è semplicemente una femminista della prima ondata (il film è ambientato tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento) che si batte quotidianamente per i diritti delle donne e delle classi sociali oppresse, senza nascondere o reprimere la sua passionalità né tantomeno la sua aggressività. La commedia di Wexler racconta in modo ironico e straordinariamente intelligente non solo l’invenzione del vibratore ma anche le influenze culturali che portano alla definizione di stereotipi di genere e alla stigmatizzazione di pratiche e comportamenti sessuali in realtà privi di qualsivoglia connotazione patologica.

© Riproduzione Riservata

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Cristina Notarnicola Cassese

Antropologa culturale, autrice e formatrice, si occupa di rappresentazioni e stereotipi, con particolare attenzione ai gender studies e alle arti performative. Conduce laboratori motivazionali nelle scuole e collabora a diversi progetti di divulgazione culturale con associazioni pubbliche e private. È autrice e speaker del podcast “Nomadismo Professionale”.

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