Vademecum di viaggio per femministe

Come il viaggio rende davvero libere
donna di spalle con azino e cappotto, capelli rossi a cipolla che cammina nelle strade di un paese
credit: Timo Stern
7 Dicembre 2025
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Esiste uno spazio di emancipazione femminile che non ha confini, perché lo immagina e rivendica chi lo progetta. Sempre più donne scelgono se stesse come miglior compagne di viaggio. È il fenomeno del “solo female travel”, esperienza in solitaria che ha due moti esplorativi: uno è diretto a scoprire una meta fisica, l’altro punta a superare limiti personali, scardinare stereotipi di genere e a conquistare indipendenza socioculturale.

Il solo female travel è una tendenza che dal 2020 in poi ha subito una vera e propria impennata: come emerge da Google Trend, le ricerche del termine “viaggio femminile in solitaria” dal 2004 al 2016 erano già triplicate nei 4 anni precedenti l’inizio della pandemia da Covid-19, per poi riprendere nel 2022 e superare a inizio 2024 il picco di ricerche registrate nel gennaio 2020. Come per tutti i fenomeni in ascesa, il successo dei “viaggi al femminile” lo ha reso presto un argomento virale, trasformandosi in topic succulento per algoritmi e, purtroppo, calamitando luoghi comuni che non aiutano le donne a emanciparsi. Il più comune: una donna che viaggia da sola se la va a cercare.

Sarebbe bello chiedersi chi è che giudica le donne in questo loro viaggiare, chi le vorrebbe fisse come zavorre su progetti di vita già decisi, appesantite come ancore dentro casa, dietro fornelli e stoviglie. Perché per chi ha immaginato per secoli la donna dentro alle quattro mura di casa, pensarla non solo fuori da una proprietà, ma addirittura in partenza, è inaccettabile. Ed ecco che se le donne viaggiano, il marketing le rincorre per stare al loro passo: anche qui il pinkwashing non è un’invenzione, ma strategia per sottrarre spazi di discussione e imporre una cornice di accettazione sociale.

È allora possibile riscrivere il viaggio con una narrativa inclusiva e responsabile, per rafforzare l’empowerment femminile? “Perché un viaggio ci rafforzi davvero non è essenziale che sia un viaggio in solitaria, ma certo è essenziale che sia un viaggio responsabile”, spiega a Frisson Daniela Campora, vicepresidente Aitr – Associazione italiana turismo responsabile, associazione attiva da più tempo nella promozione di una visione più responsabile del turismo in tutta Europa. I progetti di Aitr sono rivolti ai territori, alle comunità locali, ai piccoli operatori che si vogliono avvicinare a forme di turismo più consapevoli. Quando si parla di “turismo responsabile” non ci si riferisce solo al rispetto per l’ambiente e alle pratiche sostenibili, ma alla relazione armonica che chi viaggia dovrebbe avere con le comunità locali.

La responsabilità sociale di viaggiare per se stesse

La prima chiave per rendere quanto più responsabile un’esperienza di viaggio è insomma farlo per se stesse, per arricchirsi come persone, non a beneficio della vetrina social. È possibile per esempio raccogliere le informazioni sul contesto socioculturale da visitare e, poi, sugli aspetti tecnici del viaggio: in questo modo si può dare priorità alle comunità locali e alle donne che le compongono. “Prima del viaggio è una buona idea creare contatti con associazioni femminili, cooperative di donne e imprenditrici locali”, racconta Campora. “Così  otterremo anche informazioni di prima mano sui diritti delle donne nel paese di riferimento, sulle norme culturali e su comportamenti considerati appropriati, mantenendo l’equilibrio tra il rispetto della diversa cultura e quello per la propria identità”.

Un viaggio responsabile può farci scoprire così opportunità di lavoro create dalle donne locali e dal valore delle loro competenze e potremmo contribuire, come viaggiatrici e “sorelle”, a dare ulteriore valore al loro operato. “Un viaggio responsabile è un motore di cambiamento sociale positivo che sfida anche gli stereotipi più sottili”, prosegue Daniela Campora. “Come la ‘naturale predisposizione femminile’ delle donne alla cura e alla cucina, viaggiando possiamo abbattere le disuguaglianze di genere promuovendo l’accoglienza della diversità in generale, in una visione inclusiva, di turismo ad personam”.

Viaggiare per contrastare il gender gap

Le donne hanno un ruolo tutt’altro che marginale nella filiera turistica. Basti pensare che, secondo l’organizzazione mondiale del turismo, in Africa per esempio, le donne costituiscono il 69% del personale dipendente del settore. Ma, come per tanti altri ambiti, anche nel turismo si registra un forte gender pay gap: “Secondo l’Omt, una donna guadagna il 14,7% in meno rispetto a un uomo nello stesso ruolo, e secondo il World Travel & Tourism Council solo il 7% è amministratrice delegata  e il 22% ha cariche nel top management”, precisa la vicepresidente Aitr. 

Il turismo responsabile cerca di contrastare questa tendenza. Chi vi aderisce lotta per la garanzia che i benefici economici del turismo siano equamente distribuiti in loco, promuovendo l’occupazione femminile anche in ruoli di comando e organizzazione, non solo in quelli  canonici di base affidati alle donne, forza lavoro che rappresenta tra il 60 e il 70% della filiera. “Se da un lato vogliamo dare valore alle tradizioni e preservare le identità culturali”, spiega Campora, “interveniamo perché ci si apra a una visione innovativa e inclusiva del turismo che consideri l’equità di genere e il rispetto della diversità elementi fondamentali: il turismo responsabile vuole spronare le competenze, sviluppare fiducia e promuovere un’accoglienza meditata delle innovazioni, così come la centralità di una comunità gender sensitive nelle decisioni sul turismo nel proprio territorio”.

Chi sceglie di viaggiare da sola non è necessariamente una persona alla ricerca della solitudine, ma anche di una forma d’indipendenza. Di riscatto, di liberazione o di rinascita. Soprattutto, non è necessariamente in cerca di qualcosa. 

Per una donna viaggiare è un diritto spesso confuso in molte culture con un privilegio. Per tutelarsi è importante comunque condividere l’itinerario e i contatti delle strutture ospitali con persone di fiducia e, nei paesi laddove sia richiesto, con il sito Viaggiare Sicuri; mantenere attiva la geolocalizzazione; restare in contatto con community online e gruppi dedicati per informazioni e contatti sul luogo che stiamo visitando; verificare la presenza di strutture sanitarie accessibili nel paese dove ci troviamo. Oltre a questo, è essenziale avere kit farmacia e un kit di sicurezza personale adeguati (con app di emergenza, copie dei documenti su cellulare e in cloud, torcia, fischietto) ma soprattutto conoscere frasi nella lingua locale, incluse quelle per chiedere aiuto, rifiutare con fermezza o stabilire confini chiari: conviene saper dire “No” in ogni lingua.

© Riproduzione Riservata

Immagine di Barbara Polidori

Barbara Polidori

Barbara Polidori è una giornalista che ha collaborato negli anni con diverse redazioni di cronaca e attualità, tra cui Fanpage, Repubblica, Il Messaggero, Roma Today, Il Corriere della città, HuffPost Italia, Linkiesta, The Vision, Vita.it e Business Insider, realizzando inchieste, interviste e videoreportage. È stata vincitrice del premio Asvis-Il Sole 24Ore all’interno del Master in “Giornalismo politico-economico e informazione multimediale”, realizzando il long form di storytelling giornalistico “Barriere rosa e Stem”, incentrato sul gender gap nelle imprese romane del settore ICT. Collabora con l’Università La Sapienza di Roma a progetti per ridurre il gender gap nelle carriere informatiche e sensibilizzare sulla sostenibilità ambientale, come “G4greta - Girls for Green technology Applications”, “sIAte PROMPTe!” e con il Cini a “Gict – Atlas of gender initiatives in ICT”. Ha scritto il paper accademico “A Greed(y) Training Strategy to Attract High School - Girls to Undertake Studies in ICT” sugli approcci didattici per attrarre le più giovani verso le materie tecnico-scientifiche, presentato all’interno dell’HCI INTERNATIONAL 2023 di Copenhagen. Gestisce la newsletter Substack su femminismi e gender studies dal titolo “Non si può più dire nulla”.

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