La parada delle travestis: l’esperienza delle donne trans peruviane

Uno spaccato del fenomeno del sex work raccontato da una prospettiva insolita: quella delle donne trans peruviane. Le operazioni chirurgiche, la protezione, la nuova famiglia, la strada e le polladas: Giulia Zollino ci parla di cosa vuol dire essere sex worker trans in Italia
illustrazione collage fondo viola e immagini nere
artwork: Francesca Stella Ceccarelli
20 Gennaio 2020
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"Travestis” è il termine utilizzato in alcune culture dell’America meridionale, tra cui quella peruviana, per riferirsi alle persone trans. Se inizialmente assumeva una connotazione dispregiativa, alla fine degli anni Settanta la comunità trans peruviana e argentina si costituisce in quanto soggetto politico e si riappropria del termine, dotandolo di nuovi significati.

Il mio primo contatto diretto con la prostituzione su strada fu con il mondo trans, e questo segnò profondamente la mia visione sul sex work.

All’epoca stavo frequentando un master sulle migrazioni, e mi sentivo tremendamente spaesata, frammentata. Mi sembrava che i miei interessi viaggiassero su linee parallele senza incontrarsi mai. Inoltre, era arrivato quel momento che per chi è una drama queen come me, apre una serie infinita di interrogativi: la tesi, preceduta dal tirocinio. “Che cosa faccio? Di cosa voglio raccontare? Cosa mi appassiona? Cosa ne sarà di me?” mi ripetevo.

Finalmente presi una scelta, che ovviamente si rivelò sbagliata (sì, sono anche la regina delle scelte di merda). Ma fu proprio in quel momento di frustrazione estrema che ebbi la mia illuminazione: “Ma certo, la prostituzione!”. Decisi quindi che il sex work sarebbe stata la mia passione. E così, armata delle mie convinzioni e della voglia di imparare, entrai in contatto con quella che fino a quel momento era stata solo una sigla importante letta in qualche libro: il MIT, Movimento Identità Trans .

All’inizio non fu semplice. Entrai in punta di piedi, osservando con gli occhi di una bambina curiosa quello che per me era un mondo tutto nuovo. E mentre osservavo quei codici e quelle movenze caratterizzanti, mi ritornavano in mente le parole di Porpora (Marcasciano, NdR): “Nell’esperienza trans la prostituzione era l’asse portante su cui poggiava l’esistenza […]. La prostituzione era lavoro, vocazione, spettacolo e dramma, mezzo e fine, rito, regola, segno” (da L’aurora delle trans cattive).

Le donne trans sudamericane e il rapporto con la prostituzione

In Italia, fino agli anni Ottanta, l’esercizio della prostituzione era un elemento centrale dell’esperienza trans. Essere trans voleva dire fare la prostituta. Le alternative non c’erano. Oggi la percentuale delle donne trans (MtF) che si dedicano alla pratica prostitutiva si è ridotta notevolmente, fino ad arrivare al 20%. La maggioranza delle sex worker trans proviene dal Sudamerica, in particolare dal Brasile e dal Perù. Ma le sudamericane arrivarono dopo, con i favolosi ’80, che segnarono un momento di svolta per il mercato della prostituzione. 

Le prime ad arrivare furono le brasiliane, che con i loro corpi nudi e gonfi di silicone, portarono con sé nuove modalità di stare sulla strada. Per le trans italiane fu un duro colpo; la domanda infatti si spostò progressivamente verso questo nuovo target, la cui funzionalità fisica non era compromessa dalle cure ormonali. Le sudamericane infatti, a differenza delle italiane, non erano pratiche di ormoni; il loro grande amore era il silicone, spesso di bassa qualità, iniettato dalle sapienti mani delle bombarderas, le dottoresse del silicone. 

L’esperienza delle donne trans peruviane: la storia di Francesca

Una delle prime persone che incontrai fu Francesca (nome di fantasia); e attraverso la sua storia vorrei ripercorrere alcune delle tappe caratterizzanti dell’esperienza migratoria delle sex worker trans peruviane. 

Francesca ha 30 anni, ed è nata in un paesino a 9 ore da Lima, da una famiglia numerosa. Il Perù, come altri paesi del Sudamerica, è un paese maschilista, in cui la violenza e le discriminazioni nei confronti della popolazione LGBTQ sono molto frequenti. «In Perù, quando vedono un mariconcito (gay) per la strada la gente gli urla “Maricón! Qué tienes malasuerte!”, racconta F.

Dopo aver frequentato una scuola per soli uomini, Francesca decise di iscriversi all’università, dove entrò in contatto con la comunità gay limeñas. Nello stesso periodo i suoi genitori si separarono e il padre lasciò lei e i suoi fratelli. Fu in quel momento che iniziò “a perdere la testa con feste, droga, ragazzi”, ma il padre scoprì tutto e la picchiò violentemente, “per poco non mi ammazza”. 

Decise quindi che era ora di andarsene, di lasciare un paese che non le aveva dato nulla. L’Argentina fu la nuova meta. Dopo aver passato i primi mesi lavorando come commessa in alcune botteghe, incontrò P., un vecchio amico di infanzia “che era diventato travestis“. “Ma sei rimasto così?” le disse P. non appena la vide. “Qui se devi essere travestis devi imparare a putear perché i soldi si fanno sulla strada”.


Così, Francesca iniziò a lavorare in strada, vicino a un hotel in cui si “facevano” i clienti. E con i soldi che guadagnava cominciò a trasformarsi. “Mi operai poco a poco. Mi feci il naso, il viso, le tette, tutto praticamente”. Creò se stessa. L’opera di costruzione di sé è costitutiva dell’esperienza trans, in particolare modo per le sex worker. Ogni sera infatti le “favolose signore” mettono in scena un rituale di costruzione del proprio corpo, che deve assumere le caratteristiche di un corpo desiderabile, un corpo visibile. 

 

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© Riproduzione Riservata

Immagine di Giulia Zollino

Giulia Zollino

Nasce il 27 dicembre del ’92, sotto il segno del Capricorno. Nel 2012 scappa da un paesino bigotto del profondo Veneto per studiare Antropologia nella grassa e rossa Bologna. Qui è dove inizia il percorso di scoperta di sé e della sua sessualità, che la porta a dedicarsi all’educazione sessuale prima e al sex work poi.

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