Il mio ingresso nel mondo dell’attivismo femminista è arrivato tardi (superati abbondantemente i trent’anni) e con strumenti di comprensioni limitatissimi. Per dare un quadro della mia ignoranza, vi basti sapere che ho risposto al desiderio di avere un contatto con il blasonato “femminismo” aprendo la barra degli strumenti di Google e cercando: femminismo-sede-roma.
Quelli seguiti alla ricerca di cui sopra sono stati mesi di tentativi, spesso fallimentari, ma anche esilaranti e che mi hanno permesso di capire la complessità delle realtà e istanze che girano intorno al mondo del cosiddetto “femminismo” (e non a caso è più corretto parlare di “femminismi”).
I miei girovagare si sono provvisoriamente interrotti quando ho intrecciato la mia strada a quella di un allora nascituro movimento dentro il quale mi sono sentita a casa per tanto tempo: Non una di meno. Un movimento nato dal basso che ha saputo creare nel tempo un legame privilegiato con i territori che ha attraversato.
Uno degli slogan più emozionanti di Non una di meno recita: “Insieme siam partite, insieme torneremo, non una di meno”. Se si parla di territori e femminismo, la domanda è quindi necessaria: come siam partite, insieme?