Ilaria Fazio e Letizia Abis sono due giovani italiane che hanno studiato e lavorato in Francia, dove hanno deciso di aprire Ma joie, un’azienda di sex toy con l’obiettivo di rivoluzionare il settore partendo dai concetti di praticità e versatilità.
Dopo alcune esperienze fallimentari con strapon e strapless hanno deciso di sperimentare col fai da te al motto di Facciamoci i cazzi nostri!
Le abbiamo intervistate per conoscere meglio il loro progetto.

Come è nata Ma joie?
Ci siamo arrivate insieme perché all’epoca eravamo una coppia in cerca di uno strap-on che rispondesse alle nostre esigenze. Abbiamo fatto delle ricerche, ne abbiamo comprato vari, ma ci sembrava sempre che avessero un design terribile, perciò abbiamo iniziato a realizzare dei piccoli prototipi a casa. Dopo alcune prove abbiamo deciso di fare una sorta di indagine di mercato per capire se ci fosse un bisogno, così abbiamo intervistato circa 400 persone fra i nostri contatti, che hanno risposto alle domande di un form che abbiamo inviato via email. Di queste, più o meno 200 utilizzavano strapon ma il 70% di loro dichiarava di non essere soddisfatta dell’esperienza. Le principali criticità rilevate erano quattro: design di scarsa qualità con conseguenti rapporti fastidiosi o addirittura dolorosi; materiale scadente; difficoltà a indossarlo tra modelli strapless o strapon con diversi cinturini, fibbie o elastici; disagio nel mantenerlo in posizione.
Ci siamo quindi messe a sperimentare con silicone e stampe in 3D, aiutandoci con alcuni video trovati su YouTube. Questo approccio DIY si è trasformato nel nostro slogan: ci facciamo i cazzi nostri! Una sorta di rivendicazione per dire che oltre a essere fatti materialmente da noi, è una nostra responsabilità dedicarci agli oggetti con cui (ci) procuriamo piacere, senza delegare. Questa è anche una delle ragioni per cui abbiamo scelto di chiamare la nostra azienda Ma joie, che in francese significa La mia gioia. L’altra è che ci siamo ispirate al libro L’arte della gioia di Goliarda Sapienza, che per noi è sempre stata un simbolo di libertà per diventare padronɜ del proprio destino, che nel nostro caso è il riappropriarsi del proprio piacere.
Una delle caratteristiche del prodotto che immaginavamo e che abbiamo realizzato era che fosse modulabile a seconda dei corpi e delle preferenze di ogni persona che lo utilizza.
È possibile che le caratteristiche considerate scomode per persone con vulva e vagina siano in realtà dovute al fatto che sono dei sex toy pensati per la penetrazione anale?
Le persone che ci hanno risposto erano insoddisfatte in generale, anche perché il campione era costituito da partecipanti di sesso, genere e orientamenti diversi. Ci hanno raccontato esperienze con lo strapon sia in ano che in vagina e la maggior parte di loro ha condiviso giudizi negativi a riguardo. Inoltre una delle critiche era dovuta proprio alla scomodità delle cinghie per reggere il toy e il fastidio, se non addirittura il dolore, dello sfregamento coi conseguenti segni che lascia. Insomma, questa è una realtà indipendente dal sesso vaginale e anale, ma dal fatto che lo indossi oppure no. Anzi, nei nostri studi per la costruzione di un prodotto adeguato ed efficace, abbiamo appreso che per il sesso anale è meno indicato l’utilizzo di dildo di una certa conformazione e dimensione, infatti c’è un ISO (International Organization for Standardization) che riporta 7 cm come misura massima per i toy appropriati per l’uso anale, standard che evidentemente non viene applicata da chi li produce.
Avete realizzato anche uno stimolatore clitorideo che ha le sembianze di un petalo…
Sì, anche quel toy si incastra sullo slip ed è stato immaginato per lo sfregamento vulvare, infatti anche anatomicamente abbiamo ripreso la forma di un petalo di orchidea col suo pistillo, che servirebbe a fare pressione sulla clitoride propria e della persona con cui si sta facendo sesso. I nostri toy non vibrano, perché ci siamo concentrate su connessione e reciprocità, il piacere è dato dai movimenti e non da un toy che funziona per conto proprio.
Che innovazione proponete coi vostri giochi?
Abbiamo ideato una mutanda che ha un inserto all’interno della parte anteriore che permette di stabilizzare i toy e dà la possibilità di indossarli nel momento in cui si preferisce con un solo click. L’idea di partenza era che fosse semplice come indossare un preservativo.
Qual è il vostro background?
Non veniamo dal mondo del design, anzi ci siamo ingegnate e buttate in questo mondo nuovo per noi. Una volta definita l’idea di partenza, ci siamo rivolte a una designer industriale a cui abbiamo spiegato il prodotto che immaginavamo e ci ha aiutato a fare i primi schizzi che ci sono serviti proprio per realizzare dei prototipi. Abbiamo fatto testare con la massima cautela questi prodotti artigianali ai nostri amici, che ci hanno dato un feedback positivo. A quel punto, vedendo all’orizzonte una possibilità, abbiamo deciso di aprire l’azienda e di chiamarla Ma joie. All’epoca vivevamo in Francia e la nostra cerchia professionale era tutta là, quindi abbiamo potuto usufruire di finanziamenti e prestiti in quel Paese. Grazie a questi sostegni economici per l’imprenditoria abbiamo potuto rivolgerci a uno studio professionale di design industriale in Italia, che si è occupato dei modelli e del passaggio dal prototipo al design finale. Con un altro partner industriale siamo invece passate da questo modello al prodotto finito e oggi in commercio.
Qual è il vostro pubblico?
Al momento stiamo lavorando molto sul mercato italiano e la maggior parte delle vendite sono in Italia così come tutta la nostra community. Abbiamo ufficialmente lanciato Ma joie lo scorso Giugno partecipando anche a Milano Pride grazie al podcast Brave Mai e al Pop (un noto bar milanese che si trova nel quartiere Porta Venezia, ndr). Adesso, oltre a vendere gli articoli sul nostro shop stiamo prendendo contatti con alcuni negozi fisici.
Com’è stato lavorare a questo progetto in Francia?
A differenza di quel che si pensa, anche in Francia ci sono diverse limitazioni e pregiudizi per aprire un’attività come la nostra. Abbiamo avuto difficoltà persino ad attivare un conto in banca, non tanto per ottenere finanziamenti ma banalmente l’apertura di un conto dove poter mettere i nostri soldi. Dal punto di vista dei consumi la Francia è più emancipata, diciamo così, dell’Italia, ma da quello burocratico e istituzionale cambia poco. Abbiamo quindi dovuto registrare l’azienda sotto una categoria legata al benessere sessuale per avere meno problemi burocratici possibili. Questo aspetto ha in qualche modo un risvolto reale, ossia molti sex toy vengono promossi e venduti per tale ragione, mentre gli strapon sono ancora molto legati a un immaginario fetish e al mondo del BDSM. Vogliamo sfatare questo mito, anche perché moltissime persone che usano gli strapon, e i sex toy in generale, sono persone con una sessualità etichettata come vanilla.
Un altro aspetto che ci sta molto a cuore è che, quando usiamo dei sex toy con cui non ci troviamo a nostro agio, ci capita di pensare che non siano fatti per noi e che il nostro corpo non vada bene per quegli oggetti. Questo può generare o amplificare un senso di inadeguatezza verso il proprio corpo e la propria sessualità. Noi vogliamo dimostrare che il problema non sono i corpi e le sessualità ma i prodotti mal progettati. Ma joie propone sex toy pratici: si può agganciare il dildo o il petalo alla mutandina cosicché al momento desiderato bisogna solo indossarla, oppure si sta con la mutandina addosso e gli unici gesti da compiere sono afferrare il toy e agganciarlo facilmente, tutto per non interrompere il flusso. Inoltre abbiamo optato per lo slip perché volevamo usare un indumento quotidiano che potesse essere versatile. Attualmente proponiamo una brasiliana in otto taglie diverse e stiamo lavorando per proporre altri modelli che possano rispondere a più gusti ed esigenze possibili.
Riguardo al tema della sostenibilità ambientale, avete mai pensato di produrre su richiesta sulla base di preordini, come fanno per esempio alcune aziende di abbigliamento?
Anche se in Europa non esiste alcun controllo sulla qualità dei materiali utilizzati per la realizzazione dei sex toy, volevamo che il nostro prodotto fosse affidabile e dichiarato tale da un laboratorio indipendente. I materiali che utilizziamo sono testati e prodotti con silicone medico. Per quanto riguarda la produzione e distribuzione, per lanciare il prodotto abbiamo creato una raccolta fondi, anche per accertarci che ci fosse un’esigenza reale da parte del pubblico. Attualmente pensare di produrre su richiesta non è fattibile perché chi realizza materialmente i toy richiede volumi molto alti che ancora non abbiamo raggiunto. Inoltre dopo la pandemia da Coronavirus le aziende manifatturiere hanno accumulato lunghi tempi d’attesa e nel nostro caso abbiamo dovuto attendere più di un anno.
Dove vengono realizzati i vostri sex toy?
I nostri toy sono prodotti in Cina perché in Italia non esistono aziende che si occupano di costruirne. Inizialmente ci abbiamo provato ma per questioni qualitative ed economiche ci siamo rese conto che è impensabile. A fronte di prodotti scadenti bisogna anche spendere un sacco: il gioco non vale la candela.
In Cina abbiamo potuto chiedere che gli standard che vogliamo vengano rispettati e il know how locale ci ha consentito di trovare il partner migliore per noi dopo una lunga e complessa contrattazione. Il tema della sostenibilità ambientale è molto importante per noi ma deve esserci anche una sostenibilità economica, pertanto abbiamo dovuto fare dei compromessi. Va altresì detto che non esistono in assoluto sex toy sostenibili ecologicamente, perché se l’oggetto è in silicone, il processo di riciclo è lungo e costoso. Quando viene detto che certi sex toy sono eco-friendly, di fatto si sta facendo greenwashing. In più andrebbe decostruito il pregiudizio secondo il quale made in China corrisponde a pessima qualità: là c’è una profonda consapevolezza di come si lavorano certi materiali e prodotti, che in Italia e altrove non c’è (ancora). Per il futuro vorremmo rivolgerci ad alcuni produttori europei che si occupano di biomateriali, ma al momento i risultati non sono ancora validati per l’impiego nella costruzione di sex toy, quindi dovremo aspettare ancora un po’.
Cosa ha comportato per voi fare impresa e farla nel mondo della tecnologia impiegata in ambito sessuale?
Per alcuni versi il fatto di essere due donne ci può aver aiutato, nel senso che abbiamo facilmente portato avanti il discorso legato al benessere sessuale perché siamo sembrate credibili, forse anche grazie alla nostra formazione accademica e al modo in cui ci siamo presentate. Temo che, se fossimo arrivate dal mondo del porno, ci sarebbero stati più pregiudizi e ostacoli da affrontare. Le criticità maggiori sono subentrate per la parte relativa agli investimenti e alla gestione economica. Ci siamo imbattute in molte persone che hanno cercato non solo di spiegarci le specifiche questioni ma proprio la vita! Tutti a voler fare mentoring ma nessuno che elargisse finanziamenti. Avendo come obiettivo quello di realizzare dei sex toy, in alcuni casi ci siamo sentite sessualizzate. L’aspetto più frustrante è stato che, secondo noi, alcune delle motivazioni ricevute non sarebbero mai state date a degli uomini. Per esempio una volta ci siamo recate da un potenziale finanziatore che non ci ha posto alcuna domanda sul business puro, sui numeri – per intenderci – ma ha espresso un dubbio sul colore del dildo, come se – in quanto donne – con noi potesse discutere solo dell’aspetto e non dei contenuti essenziali.
Come mai il vostro bacino di utenza è più ampio in Italia? Perché avete deciso di orientarvi sul mercato italiano?
Siamo state un po’ ispirate dal fatto che in Francia ci sono già tante aziende che fanno un discorso di apertura riguardo ai sex toy e anche educazione sessuale, mentre invece sullo strapon in Italia ci sembrava di essere ancora molto indietro. Inoltre volevamo avere il potere di una comunicazione diretta e poter raccontare la nostra storia, perciò ci siamo dette facciamolo in Italia, ché il mercato ha anche tanto da imparare e magari possiamo combinare le due cose.
Abbiamo lanciato Ma joie con risorse limitate e per noi era più facile testare il prodotto nel nostro Paese d’origine proprio perché l’esigenza anche in termini di marketing sono più più basse, diciamo che c’è stata un po’ l’opportunità su entrambi i fronti.
Come in altri ambiti della sessualità, la storia di alcune donne e persone della comunità LGBTQIA+ ci dimostra che quando il mercato propone modelli limitati, il miglior modo per trovare alternative è crearsele.