Sex work is work

Sex worker protestano con striscioni
credit: Les prostituées de Lyon parlent, Carole Roussopoulos
20 Ottobre 2019
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Il mercato del sesso è plastico, mutevole. Si espande, si ritrae, si inserisce prepotentemente in nuovi spazi, cambia forma e colore; in un gioco di costanti adattamenti al contesto sociale, economico e politico. 

A partire dagli anni Ottanta, si assiste ad una diversificazione e proliferazione della pratica prostituiva e più in generale del lavoro sessuale, oggi attraversato da un numero sempre più elevato di attori sociali, che (inter)agiscono a vario livello.

In Italia, sono migliaia le persone che si dedicano al lavoro sessuale. E altrettanto numerose sono le persone che, ogni giorno, acquistano servizi sessuali a pagamento. Eppure, alle porte del 2020, parlare di lavoro sessuale è ancora un tabù. 

Basta leggere qualche articolo di cronaca per rendersi conto di come “prostituzione-tratta-criminalità” sembrano essere una parola unica, da pronunciare tutta d’un fiato, un trio che si fonde inevitabilmente in un threesome passionale.

Ma è davvero cosi? La prostituzione è (sempre e solo) tratta, degrado, sfruttamento, illegalità?
Ed è corretto parlare di “prostituzione”? Partiamo da qui, dalle parole. Dal lavoro sessuale.

Per lavoro sessuale si intende qualsiasi lavoro (e sottolineo lavoro) in cui è previsto uno scambio sessuo-economico: da un lato c’è chi offre un servizio sessuale, di vario genere e durata, e dall’altro chi paga per quel servizio. Pertanto, parlare unicamente di prostituzione su strada significa escludere la pluralità delle forme, dei luoghi e delle soggettività coinvolte nel mercato del lavoro sessuale, che va dai centri massaggio agli strip-club, dai set dei film porno agli appartamenti, dalle agenzie di escort alle cam-girl, ecc.

L’origine del termine “sex work”

La prima persona a parlare di “sex work” fu Carol Leigh (alias Scarlot Harlot ), artista e attivista femminista statunitense. Il termine apparse per la prima volta nel 1984, all’interno di un articolo dell’Associated Press Newswire e divenne di uso comune nel 1987, con la pubblicazione di Sex Work: Writings by Women in the Industry a cura di Frédérique Delacoste e Priscilla Alexander.

“L’invenzione (del termine Sex Work) è nata dal desiderio di riconciliare i miei obiettivi femministi con la mia vita reale e quelle delle donne che conoscevo. Volevo creare un’atmosfera di tolleranza per le donne che lavorano nell’industria del sesso sia all’interno che all’esterno del movimento femminista”, disse Leigh. 

L’introduzione del termine sex work fu di per sé rivoluzionaria perché, oltre a rappresentare una presa di coscienza politica da parte delle e dei sex worker, includeva per la prima volta la parola “work”, rendendo esplicito che si trattava di un vero e proprio lavoro.

In Italia, il nuovo termine arriva con un decennio di ritardo. È il 1994 e Pia Covre, presidente del “Comitato per i diritti civili delle prostitute”, indice una riunione tra le donne del movimento.

Il giorno successivo, telefona all’amica Roberta Tatafiore per raccontarle gli esiti dell’incontro: “Sai” annuncia, “abbiamo deciso di non chiamarci più prostitute, bensì sex worker!”.

L’occupazione della chiesa di Saint-Nizier

Il Comitato, nasce nel 1982 sulla scia del movimento delle sex worker, che prende avvio verso la metà degli anni Settanta con la protesta di Lione. Era il 2 giugno del 1975 e le prostitute di Lione, stanche delle multe, le detenzioni e la violenza esercitata dalle autorità pubbliche, decidono di occupare la chiesa di Saint Nizier, con il supporto e la “benedizione” del parroco Louis Blanc e di padre Béal.

Quando occupiamo le chiese,
voi vi scandalizzate,
bigotti religiosi,
voi che ci avete minacciato con l’inferno.
Siamo venute a mangiare al vostro tavolo
al Saint Nizier.


Cantano le manifestanti durante l’occupazione. Ad occupare Saint Nizier sono in centocinquanta. Centocinquanta  lavoratrici sessuali. Il movimento è iniziato. Sostenitrici e alleate arrivano a flotte. La voce si sparge e gruppi di sex worker occupano le chiese di Marsiglia, Montpellier e  Parigi. “I nostri figli non vogliono le loro madri in carcere” si legge in alcuni striscioni appesi durante l’occupazione.

Leggi l’articolo completo su Frisson​ n. 1

© Riproduzione Riservata

Immagine di Giulia Zollino

Giulia Zollino

Nasce il 27 dicembre del ’92, sotto il segno del Capricorno. Nel 2012 scappa da un paesino bigotto del profondo Veneto per studiare Antropologia nella grassa e rossa Bologna. Qui è dove inizia il percorso di scoperta di sé e della sua sessualità, che la porta a dedicarsi all’educazione sessuale prima e al sex work poi.

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