Alcuni lavori sono più uguali di altri

"Sex Work is Work!" gridano sex worker e alleatဒ, ma la verità racconta che il lavoro sessuale non è percepito come un vero lavoro.
• 1 Maggio 2025
illustrazione del lavoro sessuale: un ombrello rosso a terra sotto la pioggia, fondo azzurro
artwork: Storyset / freepick.com

Oggi è il Primo Maggio, Giornata Internazionale dei lavoratori, ma non proprio tuttဒ. Per chi fa lavoro sessuale la musica è ben diversa. Questo vale per chi si prostituisce, chi fa porno, chi fa spettacoli in cam e dal vivo, per esempio. Le persone di cui parliamo sono ancora prevalentemente donne cisgender e transgender, pertanto ci rivolgeremo a esse al femminile.

In Italia la prostituzione (solo una delle parti del discorso) è regolamentata dal 1861 e, con varie vicissitudini, siamo arrivatဒ alla legge n. 75 del 20 febbraio 1958, meglio conosciuta come legge Merlin, che conferma la possibilità di prostituirsi, ma condanna il favoreggiamento, l’induzione (e lo sfruttamento), l’adescamento e il reclutamento di persone allo scopo di farle prostituire. Vengono chiuse le case chiuse (!) e chi pratica il mestiere deve arrangiarsi come può.

Sebbene non poche persone rimpiangano i bordelli, più per una questione di decoro e moralismo, che di tutela di chi lavora, le case di tolleranza e coloro che le concepiscono hanno un approccio prescrittivo nei confronti di chi potrebbe lavorarci, come per esempio l’obbligo di periodici controlli sanitari, in violazione del diritto alla riservatezza circa lo stato di salute, o anche l’iscrizione a registri per l’identificazione.

Italia abolizionista

Il nostro Paese applica il modello abolizionista, come già Gran Bretagna (che ci ha preceduto di due anni) Spagna, Portogallo, Francia, Belgio, Lussemburgo e Finlandia.

Non si viene perseguite per l’esercizio della professione ma per comportamenti che potrebbero rientrare fra i reati sopra citati. Ciò rende lo svolgimento del lavoro sessuale nel nostro Paese molto difficile.

Se per esempio una lavoratrice sessuale vive con altre colleghe e tutte praticano la professione in casa (indoor), potranno essere accusate di esercizio di bordello, di favoreggiamento e persino di sfruttamento della prostituzione. Questo vale anche per eventuali proprietari dell’immobile, qualora le lavoratrici siano in affitto.

Se invece si lavora in strada (outdoor), il/la sindaco/a potrebbe emanare dei provvedimenti con sanzioni per chi si prostituisce e per i clienti. La Corte costituzionale ha però stabilito che debba sussistere un carattere d’urgenza limitato nel tempo. Queste limitazioni fanno sì che chi lavora all’aperto spesso preferisca orari notturni e zone della città più periferiche e poco trafficate, col duplice svantaggio di poter fare meno incontri e mettere a rischio la propria incolumità.

Chi realizza porno sia in ambito cinematografico che sulle piattaforme deve pagare la cosiddetta tassa etica. Sul sito dell’Agenzia delle Entrate si legge che tale tassa deve essere corrisposta da tutti i “soggetti IRPEF che esercitano attività di produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione di materiale pornografico e di incitamento alla violenza che esercitano attività economiche per le quali SONO STATI APPROVATI (maiuscolo originale, NdA) gli indici sintetici di affidabilità”. La tassa corrisponde al “25% sulla produzione e vendita di materiale pornografico o di incitamento alla violenza (c.d. tassa etica)” e se si sceglie di pagare a rate “sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 4% annuo”. Da notare come i contenuti sessualmente espliciti siano accostati a quelli di incitamento alla violenza.

Lavoro sessuale e codice ATECO: la grande polemica

A partire dall’1 gennaio 2025 la classificazione delle attività economiche ATECO 2025 prevede un nuovo codice – il 96.99 – che identifica “altre attività di servizi alla persona n.c.a”.

Come scrive l’Istat “la descrizione di questo codice definita a livello europeo riporta, tra le altre, anche le seguenti attività: ‘provision or arrangement of sexual services, organisation of prostitution events or operation of prostitution establishments’. Le stesse attività erano già incluse nella classificazione europea precedente nell’ambito del codice 96.09, in vigore a partire dal 2008 al 2024, sebbene non in modo così esplicito come nell’aggiornamento NACE Rev. 2.1 da cui l’ATECO 2025 deriva”.

Pur essendo stato aggiunto all’inizio dell’anno, il nuovo codice è stato utilizzato solo a partire dallo scorso aprile, ragione per cui quotidiani e riviste hanno dato la notizia solo in quel momento con titoli del tipo “Prostitute ed Escort hanno il codice ATECO”.
Ciò che la stampa non ha sottolineato abbastanza è che esisteva un codice utilizzato da chi svolge lavoro sessuale, seppure quasi privo di  significato se la sex worker viene penalizzata e non gode dello stesso status di altre lavoratrici.

La notizia, raccontata con queste modalità, suona propagandistica e trova l’appoggio di chi pensa sia giusto che le sex worker debbano pagare le tasse, senza riflettere sul fatto che non godono di tutela legale e sanitaria. Così come non accedono a politiche di welfare e subiscono continuamente parole e atti di discriminazione e stigmatizzazione.

Prostitute in rivolta

Molly Smith e Juno Mac, lavoratrici sessuali anglosassoni autrici del dettagliato saggio Prostitute in rivolta. La lotta per i diritti delle sex worker (trad. Chiara Flaminio, 2022 Tamu Edizioni), hanno messo in evidenza con estrema precisione e una ricca bibliografia tutte le contraddizioni e mancanze dei sistemi adottati da vari Stati in tema di lavoro sessuale, concentradosi sulla prostituzione.

Innanzitutto sottolineano la necessità di politiche sociali che sostengano le persone – sia che decidano di svolgere il lavoro sessuale sia nel caso in cui decidano di abbandonarlo –  spiegando chiaramente perché è pericolosa e fuorviante la polarizzazione pro/contro. Trattano lo sfruttamento della prostituzione in modo molto analitico e onesto, evidenziando il rischio di considerarlo a sé, come se non costituisse lavoro sessuale.

Le autrici precisano che lo sfruttamento in ambito lavorativo riguarda appunto il lavoro e volerlo combattere non significa voler combattere il lavoro stesso, ma appunto lo sfruttamento della persona che lo svolge. Per farlo sono indispensabili leggi che tutelino le persone, prima ancora che lavoratrici e lavoratori.

In Italia, per esempio, dove la politica migratoria è regolamentata dalla legge Minniti, le persone senza documenti sono più suscettibili di sfruttamento e ricatto. L’invito alle vittime a denunciare spesso si è rivelato controproducente, con programmi inadeguati alla salvaguardia della persona nel rispetto della sua volontà.

La mancanza di documenti non consente l’accesso all’assistenza sanitaria pubblica e a programmi preventivi e di profilassi, come per esempio la PrEP, particolarmente utile a chi fa lavoro sessuale e non sempre può o riesce a negoziare l’uso di metodi barriera, o ai programmi di vaccinazione per infezioni come HPV, epatite A e B.

Per non parlare di chi ha figli minori e svolge lavoro sessuale per organizzare al meglio il proprio tempo, guadagnare abbastanza da non dover sottostare a turni inconciliabili con la propria vita privata, sui quali non avrebbe potere decisionale. Queste persone rischiano di vedersi togliere la custodia dei figli e di essere affidate ai servizi sociali.

Non di rado questi – come anche alcune associazioni che prendono in carico le vittime di sfruttamento e violenza sessuale (anche rispetto a questa definizione nel libro vengono illustrate delle importanti precisazioni e distinzioni) – cercano di redimere le lavoratrici, trovando loro mestieri che di fatto ne limitano la libertà, costringendole a orari e mansioni che avevano evitato coscientemente.

Di qui la considerazione che il lavoro sessuale costituisca il male assoluto e sia un’attività di cui vergognarsi. In realtà non è detto che chi esercita sex work lo faccia volentieri. 

Questo approccio denota che le istituzioni non propongono alternative e politiche adeguate a chi ha figli e vive, per esempio, in famiglie monogenitoriali, magari a seguito di violenza domestica. Non tengono conto di chi fa uso di sostanze psicoattive e quindi si prostituisce per procurarsele. Spesso trovandosi in un loop in cui l’uso è proprio dovuto a un’esistenza difficile, non tanto a causa della prostituzione in sé, ma del contesto sociale che si dimostra ostile.

Molte sex worker sono vittime due volte: la prima di una società iniqua che le marginalizza, la seconda di organizzazioni che promettono di sostenerle se lasceranno il lavoro sessuale. Sono di consueto sovradeterminate.

Chi legifera sul lavoro sessuale non ascolta né supporta le proposte e le istanze delle sex worker. A differenza di altre realtà sindacalizzate, le persone che fanno lavoro sessuale non vengono prese in considerazione.

La scelta di un lavoro non è davvero libera in un sistema dove anche le persone qualificate faticano a trovare impieghi che corrispondano a studi e competenze acquisite sui libri e/o sul campo. Quello sessuale è un lavoro che si fa per necessità, come qualsiasi altro. La componente sessuale sembra invalidare la considerazione che ne abbiamo, mentre un approccio critico e razionale contribuirebbe a una legislazione meno moralista e pregiudizievole.

© Riproduzione Riservata

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Claudia Ska

È l’agitatrice del blog agit-porn, che tratta di sessualità e pornografia con particolare attenzioni ai corpi e al concetto di oscenità. Collabora con Rolling Stone Italia e ha scritto anche per The Millennial e MOW Mag cercando di scuotere la narrazione normata su questi temi. A settembre 2021 è uscito il suo saggio "Sul porno - corpi e scenari della pornografia" edito da Villaggio Maori.

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