collage con donna cilena che indossa una bandana e sulle braccia ha scritto no + femicidios. sullo sfondo la bandiera del cile
artwork: Francesca Stella Ceccarelli
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Cile: il femminismo attraversa le strade

Ecco come l’intersezionalità delle lotte femministe sta cambiando un paese dal passato travagliato e dal presente ancora difficile. Qui il cambiamento è donna, ma anche gli uomini decostruiscono. Mentre la Nuova Costituzione, che doveva essere la più progressista e femminista del mondo (almeno per il momento) non ce l'ha fatta.

«In Cile, durante le manifestazioni che hanno portato all’elezione di Gabriel Boric (eletto presidente a dicembre 2021, ndr), le persone sono scese in massa per le strade. Quelle più giovani hanno formato una Prima Linea affrontando duramente le forze dell’ordine per consentire alle più anziane e addirittura alle famiglie con bambini e bambine di poter manifestare a propria volta». È questo il racconto, qualche mese fa, di Paolo Primavera, fondatore di Edicola Ediciones, casa editrice indipendente italo-cilena di narrativa contemporanea.

Il Cile, si sa, ha una storia travagliata: dall’11 settembre 1973 è stato succube della dittatura di Augusto Pinochet e del suo Régimen Militar. Il regime è formalmente finito l’11 marzo 1990, non senza strascichi.

Alcuni eventi significativi nella storia recente del Paese consentono di comprendere meglio la situazione attuale e lo stato d’animo inquieto della popolazione.

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In Cile il cambiamento è donna

Il Cile appare come un Paese fiero e ribelle, caratteristiche distintive anche e soprattutto nelle lotte femministe, che non sono mai circoscritte all’ottenimento di diritti e benefici a vantaggio “solo” delle bambine, delle ragazze e delle donne, ma di tutta la popolazione. E una delle caratteristiche più spiccate del femminismo cileno è sicuramente l’intersezionalità.

Negli anni ’80 donne di varie correnti politiche si sono opposte al regime militare unendosi nel movimento Mujeres por la democracia (donne per la democrazia). Manifestavano in silenzio nelle piazze e sfidavano gli idranti della polizia che, non potendo silenziare le loro voci, voleva aggredirne i corpi.
Dal 2012 c’è stata una media di diciannove manifestazioni femministe all’anno per portare l’attenzione sulle condizioni delle donne in Cile. I temi più caldi sono sempre stati il gender pay gap (ossia il divario retributivo di genere) e l’aspettativa che le donne prendano in carico lavori di cura senza alcuna retribuzione. Alle proteste su questi argomenti si sono intrecciate quelle delle studentesse che reclamano un’istruzione non sessista e un ambiente scolastico privo di molestie sessuali.

Proprio il tema delle molestie, degli abusi sessuali e dei femminicidi ha investito il Cile come tanti altri Paesi nel mondo. Il collettivo femminista Ni Una Menos (il corrispettivo del nostro Non Una di Meno) deve il suo nome a un verso del 1995 della poeta e attivista messicana Susana Chávez: «Ni una muerta más», ossia «Non una donna morta in più», per contestare i femminicidi della cittadina messicana Ciudad Juárez. La stessa Chávez è stata assassinata sedici anni dopo e la sua frase è diventata un simbolo di lotta. Formatosi nel 2015 in Argentina, si è diffuso velocemente in Uruguay, Messico e Cile. Poi, qui come altrove è arrivato il #MeToo, che ha ispirato Lea Cáceres, Paula Cometa, Sibila Sotomayor e Dafne Valdé, artiste e studiose interessate ad alcune tesi femministe – da cui il nome collettivo LasTesis – che hanno scritto, musicato e coreografato l’ormai nota canzone divenuta un inno contro la violenza di genere: Un violador en tu camino, proposta per la prima volta il 25 novembre 2019 a Valparaíso durante una live performance per le strade della città. La canzone è stata ripresa da diversi collettivi femministi dal Sud America, agli Stati Uniti fino all’Europa – Italia compresa.

Un testo che denuncia e accusa non solo le violenze sessuali maschili verso le donne, ma il sistema patriarcale in senso lato, incarnato dalla brutalità repressiva delle forze di polizia e dallo Stato machista. In Cile le lotte non sono mai separate: le donne non solo rivendicano i propri diritti, ma lottano per quelli di chiunque. Reclamano libertà di parola e d’espressione, vogliono un mondo più equo e accogliente, rispettoso delle diversità. Per le strade una varietà umana il cui obiettivo principale è potersi esprimere apertamente e liberamente, a voce alta. Eppure nel 2020 il governo e la polizia cilena hanno accusato LasTesis di incitamento all’odio, per minimizzare o addirittura occultare il fatto che il principale perpetratore degli abusi sulle donne è lo Stato stesso.

Los Hombres Tejedores

Proprio durante la presidenza di Michelle Bachelet, in Cile si è creato un movimento di uomini femministi che rifiutano il modello patriarcale duro a morire. Si sono definiti Hombres Tejedores (ovvero “uomini tessitori), perché i loro strumenti simbolici di lotta sono quelli utilizzati per lavori definiti femminili: ferri, lana, ago e filo. Come scrive anche Maria Francesca Pinna nel suo pezzo dedicato alle lotte femministe in Messico, la tessitura è considerata un’arte povera perché popolare, quindi non alta, eppure – come si vede dall’esperienza messicana di Frida Escobedo – ha un forte portato simbolico proprio perché racchiude in sé il concetto di intersezionalità: gli intrecci letterali e metaforici della tessitura e del lavoro a maglia parlano di genere e di classe. Il gruppo di uomini che dal 2016 si riunisce per cucire, ricamare, tessere, fare a maglia non è formato solo da uomini: include chiunque e mentre si sferruzza si chiacchiera e si decostruisce un immaginario stereotipato di uomini forti e duri e donne umili e sottomesse. Come altre iniziative, anche questa ha trovato immediatamente un riscontro positivo nella società sudamericana e i gruppi di Hombres Tejedores e simili si sono formati anche altrove, Messico incluso. Si decostruisce il genere e si mettono in discussione atteggiamenti e pensieri maschilisti in modo pacifico ma dirompente.

Nuova Costituzione: un sogno infranto?

I malcontenti manifestati nel 2019 con veemenza e a cui sono seguite repressioni violente che hanno causato oltre 20 vittime, hanno portato all’avvio dell’iter per la stesura della nuova Costituzione con la sottoscrizione dell’Acuerdo por la paz y una nueva Constitución approvato per legge a dicembre 2019. 

Nel 2020, prima ancora dell’elezione di Boric, l’80% della cittadinanza ha votato a favore di questo processo, eppure lo scorso 4 settembre il 61,9% del popolo cileno ha respinto la nuova Carta – nonostante sia stata definita da molte persone la più progressista e femminista del mondo.

L’Assemblea Costituente si è avvalsa del contributo de La Coordinadora Feminista 8M (CF8M), che si descrive come “uno spazio che articola, da una prospettiva femminista, molteplici e diverse organizzazioni sociali, politiche e individuali” e fra i propri obiettivi ha “fare del femminismo una prospettiva trasversale e un’azione politica dei movimenti sociali, promuovere l’incontro, il dialogo e l’azione collettiva tra le diverse organizzazioni e promuovere un’agenda comune di mobilitazioni a partire da un femminismo di maggioranza contro la precarietà della vita”.
La prima versione della nuova Costituzione è stata redatta da 155 persone: 78 uomini e 77 donne – e 47 di queste si sono definite femministe.

E ancora, delle 155 persone elette 17 sono indigene, come le due leader mapuche Elisa Loncón (eletta con 96 preferenze) e Francisca Linconao. La prima ha invocato uno Stato “plurinazionale”, che riconosce i diritti delle popolazioni native cilene – circa il 13% della popolazione totale del Paese – alle loro terre e risorse, che non vìola i diritti delle donne, delle cuidadoras, e che “si prende cura della madre terra”.

Pur non essendo riuscita a ricevere l’approvazione plebiscitaria, la redazione degli articoli e la tipologia di persone coinvolte sono significative per raccontare quanto e come il Cile voglia concretamente cambiare il proprio futuro a partire dal presente.

Claudia Ska
Claudia Ska
È l’agitatrice del blog agit-porn, che tratta di sessualità e pornografia con particolare attenzioni ai corpi e al concetto di oscenità. Collabora con Rolling Stone Italia e ha scritto anche per The Millennial e MOW Mag cercando di scuotere la narrazione normata su questi temi. A settembre 2021 è uscito il suo saggio "Sul porno - corpi e scenari della pornografia" edito da Villaggio Maori.
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