“Perché? Perché nessuno pensa ai bambini?!” grida disperata, fra le lacrime, Helen Lovejoy ne I Simpson.
È quello che sembrano domandarsi anche tante associazioni di genitori (laiche o religiose), influencer femministe (o wannabe), persone a caso e – non ultimi – i media quando si parla (superficialmente) di sesso e pornografia, in particolare di quella cosiddetta mainstream. A denigrare il porno tout court si farebbe una figura barbina col rischio di essere assimilatဒ a estremistဒ religiosဒ o RadFem (femministe radicali), figure che hanno in comune molto più di quello che si potrebbe immaginare. Meglio darsi una parvenza di emancipazione: siamo nel XXI secolo, baby.
È davvero raro imbattersi in allarmi che non siano la ripetizione a pappagallo gli uni degli altri. Il tenore è più o meno questo: il porno (mainstream, ça va sans dire) è diseducativo, machista, violento, stereotipato e tanti altri aggettivi che lo hanno ridotto a macchietta.
E ancora: i giovani (talvolta usano lo schwa, ma il risultato non cambia) non sanno più fare all’amore; troppo porno fin dalla tenera età; il porno ha traviato i suddetti giovani, che non sanno relazionarsi – e via discorrendo in una sequela ripetitiva e senza sosta.
Se una narrazione così parziale e approssimativa è prevedibile da utenti mediဒ dell’internet e da quellဒ che non si reputano tali ma che dimostrano di esserlo, un tale approccio grossolano è più discutibile quando utilizzato dal giornalismo.
A mo’ di esempio, ecco i titoli di alcuni articoli pubblicati online. Porno e bad sex: la generazione che ha perduto l’amore, Maria Novella De Luca su La Repubblica (09/10/2023), Pornografia: vietato minimizzare, distinguere, normalizzare, Luciano Moia su Avvenire (21/03/2024), Ma questi video porno è proprio il caso di farli?, Aldo Cazzullo su iO Donna (31/03/2024).
De Luca forse non ha titolato il pezzo, ma lo ha comunque scritto e la retorica è ancora quella delle giovani generazioni che fanno sesso fuori da una relazione amorosa (questione peraltro tutta da verificare, dato che le suddette generazioni sono finalmente più mediaticamente – almeno sui social – vicine a concetti come relazione aperta e poliamore) ed esposte alle insidie del porno.
Nel secondo titolo (e articolo), anziché criticare la mancanza di un dibattito pubblico e pertinente sul sesso, si accusa il porno di essere diseducativo e lo si definisce addirittura «l’impero del male».
Si potrebbe replicare che si tratta pur sempre di un quotidiano che si definisce “di ispirazione cattolica”, il che però non è certamente incompatibile con interrogativi e riflessioni critiche. Peraltro non sono rare le performer porno che si dichiarano credenti.