Persone che abbandonano la sala disgustate, alcune che si coprono gli occhi durante la visione, altre ancora che riversano sui social tutto il ribrezzo provato davanti ad aghi, sangue ed escrescenze: queste erano le premesse, per me entusiasmanti, di The Substance, film diretto da Coralie Fargeat e uscito nelle sale italiane questo ottobre conquistando il box office e la mia attenzione per giorni.
The Substance è una pellicola bloody horror femminista che racconta la storia di Elizabeth, interpretata da Demi Moore, un’attrice che, dopo aver condotto uno show di grande successo per anni, viene licenziata per fare posto a un’altra.
In crisi, Elizabeth decide di prendere parte a un esperimento che le permetterebbe di continuare a vivere la giovinezza: dopo l’iniezione di una sostanza (da qui il titolo del film), il suo corpo genera una versione più giovane, Sue.
L’esperimento ha delle regole molto chiare, l’infrazione delle quali – da parte della brillante Margaret Qualley nei panni di Sue – condurrà a rivolgimenti inaspettati, fino all’ultimo mostruoso ed epico atto.
La figura protagonista di quest’ultimo assomiglia straordinariamente a una che già avevo conosciuto. Ha i capelli bianchi. Le escono dalla testa a chiazze e le ricadono unti, quasi tristi, raccolti in ciocche sottili fino alle spalle. È nuda, ha i seni pendenti e delle macchie marroncine sparse sul viso e sulla schiena. I gomiti sembrano aver aspirato la pelle intorno a loro che come un vortice rinsecchito si colora di bianco. Non riesco mai a vederle la parte inferiore del corpo. Ho la sensazione che abbia il sedere flaccido e la carne intorno al pube si arrotoli fino a nasconderlo. Il suo respiro pesante mi sveglia. Quando apro gli occhi e la percepisco vicino al mio letto non mi sembra di star sognando. Non è un incubo, ma la sua presenza mi tormenta. Non riesco a girarmi per il terrore che guardandola troppo a lungo l’equilibrio alchemico tra i nostri corpi muti all’improvviso, portandoli a mescolarsi. Mi lascio osservare e non mi curo di quello che lei pensa invece di me e del mio corpo. L’incombenza della sua figura sulla mia mi basta. Non ho il coraggio di conoscerla.
Quando ero piccola mia madre mi raccontava che le streghe sarebbero venute nel sonno a intrecciare i miei capelli. Così al mattino quando mi svegliavo lasciavo correre nelle lunghezze la mia piccola mano, con le dita leggermente divaricate per controllare se avessero lasciato qualche nodo come traccia. Non ho mai chiesto perché lo facessero. Sapevo che il compito delle streghe è osservare le bambine e desiderare che qualcosa di brutto accada loro. L’ho imparato all’asilo guardando con occhi grandi e pieni di stupore Biancaneve sopravvivere ai sortilegi della Strega Cattiva. Quando il suo naso e il gigantesco porro su di esso riempivano lo schermo, mi coprivo gli occhi. Non avevo il coraggio di guardarla.
Ora vivo in un mondo che non smette di guardare il mio di corpo. Nonostante ogni rivendicazione femminista, mi sembra di trascorrere le mie giornate in un gigantesco centro commerciale dove in vendita ci sono modi per migliorarlo – se solo fossi davvero pronta a farlo – con l’aria viziata e in filodiffusione una musica upbeat vagamente deprimente nel suo loop. Ogni tanto mi convinco a fare venti minuti di pilates osservando una donna californiana fare gli addominali attraverso il mio computer. Ma dal pavimento sempre troppo freddo della mia stanza in affitto mi chiedo perché io lo stia facendo o, meglio, per chi. Se mi giro accanto al mio letto nessuna figura minacciosa mi osserva. Ci sono solo io.
Ma poi ho visto The Substance. You. are. one, dice la voce in televisione a una Demi Moore indecisa se iniziare o meno l’esperimento. E tornerà a ripeterlo a una Margaret Qualley furiosa e spietata. Sono le regole del gioco. Io sono un’unica cosa, la malinconica e spaventosa figura accanto al mio letto e quella paranoica che non sa se girarsi anche se è certa che qualcuno la sta osservando. Sarò per sempre una sola cosa, perché sono una donna e il mio unico scopo è essere guardata fino a quando nessuno riuscirà a reggere lo sguardo, nemmeno io. Ma in The Substance avverte con una chiarezza quasi dolorosa: fino a quando esisto per essere apprezzata, ogni tentativo di essere vista sarà pagato a caro prezzo. Non c’è un prima e un dopo, c’è solo una cosa: io. Accettando questa fusione, decido di mostrarmi mostruosa a un pubblico maschile che prova terrore quando non può più scegliere. Non c’è più una scissione, una matrice, una versione migliore di me da rimpiangere e una peggiore da cui scappare, perché siamo una sola cosa: io, la persona accanto al mio letto che non ha le tette come le mie, la strega di Biancaneve e Catlyn che sorseggia uno smoothie detox a bordo della sua piscina.
Gironzolo ancora in quel grande magazzino in cui come merce i corpi delle donne vengono sottoposti continuamente a procedure di aggiornamento e smaltimento. Dagli altoparlanti fuoriesce gracchiante una voce, la stessa che tormenta lo spettatore durante tutto il film: You need to pump it up. Esattamente come Elizabeth, anche chi guarda il film decide di partecipare a una sperimentazione, mettendo in discussione le norme sociali e dando vita a qualcosa di nuovo, una versione di sè fusa, disordinata. Io trascino ancora la mia lungo i corridoi tirati a lucido, perdendo pezzi sul marmo puzzolente di candeggina. Come la figura mostruosa della fine del film, imbratto tutto quello per il quale dovrei essere ricordata: la giovinezza, la bellezza, il corpo tonico, una luminosa carriera, la stella con il mio nome incastrata nel cemento.
Dopo The Substance non mi importa. Dopo The Substance ho voglia di rovinare tutto.