Per la nascita di mio figlio, un amore di creatura che ha oggi poco più di un anno e che giorno dopo giorno tira fuori un bel caratterino, tanti – anche troppi – sono i regali giunti. Vestiti (sempre fondamentali, non si sta loro dietro, con tanto riciclo che appoggiamo convintamente), giocattoli, libri. Tra questi, quello di Melania, che chi legge Frisson conosce bene (sì, siamo amiche, ma è brava di suo, mica qui per quell’italico vezzo che è la raccomandazione) e la nostra Rossella: Cos’è il sesso?, di Francesca D’Onofrio e Silvio Montanaro e con le illustrazioni di Luisa Montalto per Momo Edizioni. Lo sfogliasse Matteo Salvini, e lo pensasse tra le mani di una creatura, che so, di due anni, gli verrebbe un colpo.
Il viaggio attraverso la scoperta del sesso che questo libro fa è divertente e delicato. Proprio come dovrebbe essere di fatto la dimensione sessuale, a qualsiasi età. D’altro canto “gli esseri umani e gli animali, dal più piccolo al più grande, sono spinti da una grande forza: il desiderio di fare l’amore”, si legge sulla quarta di copertina. Eppure l’Italia è uno degli ultimi Stati nell’Unione europea in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria nelle scuole. Come ricostruisce Euronews, ci fanno compagnia in questo primato solo Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. Tante le proposte di legge che negli anni, dal 1975 con il comunista Giorgio Bini, si sono succedute nel nostro paese per introdurre l’educazione sessuale nelle scuole. E sì, è andata sempre male. “E sul sito del ministero della Salute non è presente un vademecum per insegnare la materia, se non quello a livello europeo.
Tutto viene rimesso alle regioni che possono decidere di destinare fondi per istituire percorsi di educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole, tenuti principalmente da figure esterne all’ambito scolastico, come personale medico, infermieristico, ostetriche o biologi”. “Ho provato in tutti i modi a introdurre corsi di educazione sessuale nel liceo dove andava mia figlia. Non c’è stato verso”, racconta ancora a Euronews Marina Marceca, ginecologa dell’ospedale San Filippo Neri di Roma. “Parlare di certe tematiche, secondo il corpo docenti e alcuni genitori, avrebbe potuto urtare la sensibilità di ragazzi che professavano credi religiosi. Ma se io ho il figlio di un mafioso in un istituto allora non parlo di mafia?”.
È proprio di questi giorni in cui diamo alle stampe questo numero di Frisson la notizia di un nuovo documento del Vaticano che in sintesi auspica la castità prima del matrimonio. L’ultimo a parlare di questo principio consolidato della chiesa era stato Papa Giovanni Paolo II nel 2003. Oltre al precetto dato, che di per sé – e per stessa ammissione del documento – è semplicemente antistorico, ci sono due passaggi che mi hanno fatto porre delle domande. Il primo: i giovani sposi non devono pensare subito alla procreazione “Vale la pena di aiutare i giovani sposi a saper trovare il tempo per approfondire la loro amicizia e per accogliere la grazia di Dio. Certamente la castità prematrimoniale favorisce questo percorso, perché dà tempo ai nuovi sposi di stare insieme, di conoscersi meglio, senza pensare immediatamente alla procreazione e alla crescita dei figli”, si legge nel documento. Cioè, parliamo di anticoncezionali?
Il secondo passaggio parla dell’urgenza di “creare o potenziare percorsi pastorali rivolti soprattutto a giovani nell’età della pubertà e dell’adolescenza”. Prevedendo “un’adeguata formazione dei formatori che accompagnano i giovanissimi nell’educazione alla sessualità e all’affettività, coinvolgendo esperti e creando sinergia, per esempio, con i consultori di ispirazione cristiana o i progetti pastorali di educazione all’affettività approvati e conosciuti dalla diocesi/eparchia o dalla conferenza episcopale”. Naturalmente qui si parla di educazione all’affettività in chiave cattolica (per come è oggi e da secoli costruita: leggete quello che mi ha raccontato Diego Passoni per scoprire che religione, spiritualità e sesso non vivono né devono vivere su pianeti separati e lontani). Ma se ne parla. “Parlare di sesso, di coito e penetrazione a bimbi delle scuole elementari? Dal 70% di mamme e papà, me compreso, un secco NO”, scrive il summenzionato segretario della Lega Matteo Salvini in un tweet di questi giorni. Il riferimento è a un un sondaggio della rivista “Tecnica della scuola” su un campione di 649 genitori.
Peccato che – fa notare Euronews – la stessa rivista abbia ottenuto il risultato opposto in un altro sondaggio, sul suo profilo Instagram, dove 7 genitori su 10 (su un centinaio di persone che hanno partecipato) hanno invece detto sì all’educazione sessuale. Perché una parte della politica, ma anche di elettori ed elettrici di quella politica, è oggi ancora così spaventata da una cosa così bella come il sesso? E cosa rispondono alle domande di figli e figlie? Ancora con api, cavolfiori e amenità varie? Fingendo che Internet non esista (e pensare che alle informazioni ci si arrivava già facilmente in tenera età anche prima di YouPorn & Co) ? E perché questo dovrebbe meglio comporsi con la spiritualità? Non è così in molti angoli del mondo. Non è così in religioni che ai nostri occhi appaiono come la negazione del sesso: non solo quella cattolica, ma anche l’Islam.
È così però nella costruzione culturale e sociale di cui le religioni sono fenomenale strumento. Nel frattempo oltre un milione di studenti nelle scuole pubbliche sceglie di non frequentare l’ancora presente insegnamento di religione cattolica (ricordo le battaglie adolescenziali, ovviamente perse, per chiedere quanto meno una storia delle religioni…). Lo ha scoperto l’Uaar, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, con una richiesta di accesso civico generalizzato fatta con insieme a #datibenecomune. Non sarebbe il caso di cambiare strategia?