Sara Brown è performer, attor*, danzator* e regista queer e non-binary. Nat* a Roma, ora vive e lavora a Barcellona a diversi progetti artistici e teatrali, nonché come manager dell’ufficio stampa di Erika Lust (celebre regista di cinema per adulti femminista ed etico (di cui abbiamo parlato in Frisson #1).A muovere la sua pratica artistica c’è sempre stata la libertà di esprimere la propria sessualità e identità. Un’esigenza che arriva da lontano e che proprio l’incontro con il teatro ha reso possibile.
Dall’oppressione sui corpi femminili a una ricerca più ampia sulle identità queer e non binarie: Sara Brown racconta a Frisson la sua idea intimista e sociale di teatro, e offre spunti per una rappresentazione più inclusiva nei media. Porno compreso.
Come ti sei avvicinata al teatro?
Per caso, come in tutto ciò che mi è capitato in realtà. Ero al liceo e volevo iscrivermi a un corso di inglese, ma i posti erano esauriti. Così ho ripiegato sulle lezioni di teatro in inglese. E lì ho avuto un’epifania: sentivo che ero nel mio mondo. Il processo dell’improvvisazione, di trovare un personaggio, di sapersi muovere nello spazio: tutti aspetti che mi hanno appassionata e che mi hanno fatto capire di voler continuare con questa disciplina.
Ho proseguito con laboratori teatrali, compagnie locali e tournée in cui si portavano in giro commedie come “Il Marchese del Grillo”. Però non era esattamente il teatro contemporaneo che sentivo affine, legato alla “performance art” e meno alla recitazione dei classici.
Nel 2015 – durante il mio Erasmus in Portogallo – ho frequentato un’accademia di teatro (TEUC – Teatro Universitário da Universidade de Coimbra, ndr) in cui si insisteva molto sul concetto di movimento scenico e si stimolava la sperimentazione: è stato lì che ho iniziato a fondere la mia idea di teatro con quella di lavoro sul corpo. Qualcosa di molto vicino alla danza.
In generale il tipo di teatro che mi ha sempre appassionata è quello in cui si lavora insieme ad altre persone: a me piace fare arte – qualunque essa sia – perché è un pretesto per stare con gli altri, per creare un progetto dall’unione di tante idee diverse.
In che modo il tema della sessualità aperta e libera è entrato nella tua pratica artistica?
Tornata dal Portogallo avevo molte esperienze di formazione diverse – ero passata dal teatro classico alla biomeccanica teatrale, da Grotowski al Body-Mind Centering – ma avevo bisogno di parlare di qualcosa che stesse a cuore a me. Già dai tempi dell’Accademia uno dei temi che ricorrevano più spesso e che sentivo più mio era quello della libertà. Forse perché ero un’adolescente e mi sentivo oppressa su diversi livelli – nella famiglia e nella società – o forse perché quello è stato il momento in cui mi sono avvicinata al femminismo, frequentavo circoli e donne femministe, e questo mi ha aiutata a comprendere meglio la nostra condizione comune.