DI CLAUDIA SKA e MELANIA SESTILI MIELI
Nina Hartley, leggenda del porno e attivista per i diritti dell* sex worker, parla da sempre apertamente di sesso, invecchiamento e autodeterminazione. Attrice e regista con una carriera che abbraccia quattro decenni, Nina ha visto il mondo del porno mutare, affrontando i cambiamenti del settore così come quelli del proprio corpo. Per lei la menopausa non è stata una fine ma una trasformazione.
Prima di intraprendere la sua carriera nell’industry ha studiato e lavorato come infermiera e questo le ha consentito di acquisire una serie di informazioni e competenze che l’hanno preparata ad affrontare la menopausa “come un evento fisiologico naturale e neutrale, che accade a qualsiasi donna abbastanza fortunata da vivere a lungo”, racconta.
Ripete sempre che senza le nonne non esiste cultura, perché “le nonne e le zie ci permettono di prosperare, poiché la loro energia e saggezza sono a disposizione per il miglioramento della famiglia, della tribù o della comunità”. Hartley comincia a fare porno nel 1984, in piena età dell’oro. All’epoca le performer sopra i quarant’anni sono poche, principalmente lavoratrici sessuali in altri ambiti disposte a fare sesso davanti alla telecamera per le quali il porno è un’attività secondaria. Hartley ricorda orgogliosamente di essere stata l’unica, in quel periodo, a sapere che l’intrattenimento e l’educazione per adulti sarebbero stati i lavori della sua vita e che sarebbe invecchiata in quel settore.
La giovinezza, dice, sarà sempre popolare anche nel porno. Ma è un fatto che la categoria più cercata nel porno, dopo “barely legal”, sia “mature”. “Prima di Internet, la giovinezza di un’attrice era sicuramente un elemento di vendita: contava se il proprietario di un’azienda la trovava sexy o se voleva andarci a letto – indipendentemente dal fatto che ci riuscisse o meno. Gli uomini a capo delle aziende di allora – e ancora oggi, in misura minore – erano molto antiquati e non rispettavano le puttane, ovvero tutte le donne che facevano film porno”. Col loro approccio sessista e ageista, quegli uomini hanno contribuito all’idea che “una vecchia puttana fosse meno desiderabile di una giovane”.