L’autoerotismo tra censura culturale e resistenza individuale
Di tutte le forme di piacere quella autoerotica è ancora oggi tra le più censurate. Nel suo ultimo saggio Il piacere sovversivo. Breve storia della masturbazione (Tlon, 2025), Alessia Dulbecco, pedagogista e autrice, ripercorre la storia della masturbazione per analizzare le radici di questo tabù.
Se da un lato il sesso è sempre più presente nel dibattito pubblico e nelle rappresentazioni culturali, dall’altro l’autoerotismo resta un argomento marginale. Anche le aziende che producono o vendono sex toys cercano di proporre la masturbazione come gesto di self-empowerment, ma nella percezione collettiva darsi piacere da solɜ è ancora visto come svilente.
Secondo Dulbecco questo stigma non riguarda solo le persone socializzate come donne: la masturbazione è demonizzata trasversalmente, senza distinzione di genere.
Perché l’autoerotismo è ancora un gesto sovversivo?
“Sovvertire significa alterare l’ordine costituito” spiega Alessia Dulbecco. Ed è proprio in questo senso che la masturbazione ha un valore ribelle. “Come ricorda anche lo storico Thomas Laqueur, le pratiche autoerotiche rompono con l’ordine simbolico eteronormato. Nell’antichità, si temeva che la masturbazione potesse condurre a comportamenti omoerotici. Dal Settecento in poi i timori si sono spostati su due aspetti chiave: l’immaginazione e la solitudine. Due elementi poco compatibili con l’ideale di cittadino produttivo promosso dallo Stato-nazione. Ancora oggi, l’autoerotismo è una pratica che sfugge alle logiche del profitto e delle relazioni normate, rendendola una forma di resistenza silenziosa e potente”.
Sessualità e social media: un dialogo difficile
Alla domanda sull’attuale rappresentazione della sessualità online, l’autrice risponde con realismo: “Molti/e/ə creator si muovono in un contesto sex positive, ma i social non sono ambienti liberi”.
Sebbene i social possano contribuire a normalizzare certi temi, la censura algoritmica ostacola spesso un dibattito autentico. “Mi è bastata una copertina esplicita e l’uso della parola piacere per vedere crollare le visualizzazioni del mio account su Instagram”, racconta.
Per Dulbecco, il vero confronto sulla sessualità deve spostarsi altrove: in contesti offline o in spazi digitali più liberi e meno repressivi.
Educazione sessuale o marketing mascherato? Il ruolo delle aziende
Oggi molte aziende produttrici di sex toys si presentano come promotrici di educazione sessuale inclusiva, ma Dulbecco solleva una riflessione critica: “La sessualità mantiene il suo potenziale sovversivo solo se è libera da modelli normativi. Fare educazione è fondamentale, soprattutto con le persone più giovani. Tuttavia la storia ci insegna che, quando l’educazione sessuale è vincolata a modelli rigidi, rischia di diventare uno strumento di controllo. Non a caso nei secoli scorsi pedagogisti come Rousseau sostenevano teorie che demonizzavano la masturbazione come pericolosa. Il femminismo della seconda ondata, invece, ha promosso un modello di educazione collettiva e non monetizzabile, volto alla riscoperta del corpo e del piacere. Non ho nulla contro i sex toys – chiarisce – ma spacciarne la vendita per educazione rischia di replicare un modello normativo da cui sarebbe meglio affrancarci”.
Il piacere fuori dal programma scolastico
Anche in ambito educativo, parlare di piacere resta un tabù. Ci racconta un episodio emblematico: “Una collega ha chiesto in classe se si fosse mai parlato di questi temi. L’insegnante ha risposto che dell’apparato riproduttivo sì, ma il piacere non era nel programma“. Una risposta che, secondo la pedagogista, dice molto sul modo in cui la sessualità viene ancora oggi affrontata nelle scuole: solo dal punto di vista biologico, riproduttivo e meccanico, escludendo tutto ciò che riguarda il desiderio, l’esplorazione e la libertà.
No Nut November e Destroying Dick December: vera libertà o performance?
Infine Dulbecco commenta due fenomeni virali legati all’autoerotismo: No Nut November e Destroying Dick December. “Sono due facce della stessa medaglia: in entrambi i casi, la sessualità è piegata a logiche di performance e consumo. Nel primo caso, le creator (uso il femminile non a caso) producono contenuti pensati per far perdere la sfida ai follower maschi. Nel secondo si promuove una masturbazione quotidiana legata al calendario. In nessuna delle due sfide si valorizza il piacere come esperienza personale, libera e creativa. Aderire a queste sfide – conclude l’autrice – è forse la cosa meno trasgressiva che si possa fare“.
Il piacere come atto politico
Il saggio di Alessia Dulbecco ci ricorda che il piacere è un atto politico e che la masturbazione resta un gesto rivoluzionario. Nonostante i tentativi di normalizzazione da parte del mercato e dei social media, la vera libertà sessuale passa attraverso l’autonomia del corpo e la consapevolezza del proprio desiderio.