L’essere queer e la sofferenza vanno a braccetto, nella percezione collettiva. E come potrebbe essere altrimenti? La storia ci parla di un passato drammatico per la comunità LGBTQIA+, fatto di discriminazioni, morti e lotte sanguinose, mentre cinema e televisione dipingono quadri struggenti: bullismo, figli e figlie respinti dalle proprie famiglie, amori non corrisposti… la lista va avanti. L’essere queer sembrerebbe quindi essere fonte di inevitabile sofferenza. Qualcosa di scomodo, da accettare, tutt’al più, ma mai da ostentare. Una condanna, insomma.
È proprio in questo contesto che la gioia diventa rivoluzionaria: un vero e proprio atto di resistenza. Il Pride ne è esempio lampante: un’esplosione di musica e di colori, è la manifestazione di gioia queer per antonomasia. Questo lo rende oggetto di incessanti critiche e polemiche. L’orgoglio arcobaleno, ritenuto da molti provocatorio, blasfemo e volgare, sfila a testa alta, in una gioiosa celebrazione dell’amore, della libertà e dell’autodeterminazione. Il Pride lancia il messaggio – profondamente politico – che è possibile essere queer e felici, senza vergogna.
Il concetto di utilizzare la gioia come atto di resistenza non è affatto nuovo, né tantomeno esclusivo alla comunità LGBTQIA+. Da sempre la musica è un mezzo di resistenza gioiosa: basti pensare al jazz, nato dall’evoluzione delle work songs, i canti di lavoro degli schiavi afroamericani, il cui nome stesso sembra originare da un vocabolo francese che fa riferimento all’animazione, alla gioia di vivere. Un ruolo analogo lo ricopre il reggae, simbolo di resistenza e libertà.
Audre Lorde, autrice e attivista nera, lesbica e femminista, parlava di gioia come strumento di sopravvivenza e prosperità per la comunità nera: la cosiddetta Black Joy. “La condivisione della gioia”, scrive Lorde, “sia essa fisica, emotiva, psichica o intellettuale, getta un ponte fra chi la condivide.” La gioia è un mezzo per superare le differenze e le barriere che potrebbero altrimenti renderci estranei l’uno all’altro. Se il dolore divide e isola, la gioia unisce, crea comunità.
Il movimento FUORI!, il primo movimento di liberazione omosessuale in Italia, durante il suo primo atto ufficiale a Sanremo 1972 propone lo slogan “Omosessualità è gioia”: è la risposta diretta alle teorie psichiatriche dell’epoca che consideravano l’omosessualità una patologia destinata a causare sofferenza.