Cos’è una famiglia? Qual è il suo modello, se esiste? Quanto c’entrano i legami di sangue?
Di solito, quando si parla di “famiglia” viene subito in mente il modello di riferimento dominante, quello cioè della famiglia “nucleare” composta da padre, madre, figli e/o figlie; si tratta di una tipologia tra le tante possibili che si è affermata in Italia soprattutto durante il boom economico sostituendo, in buona parte del paese, il modello precedente della famiglia “estesa” o “allargata”, ovvero che include parenti ascendenti e discendenti (nonni, zii, nipoti, cugini eccetera).
In entrambi i casi il fondamento dei rapporti familiari sembra essere biologico, basato cioè su legami di sangue, ma a ben guardare le cose non stanno affatto così.
Le scienze umane, in particolare l’antropologia culturale, hanno da tempo dimostrato che la famiglia, come qualsiasi altra istituzione sociale, è un’invenzione, un costrutto che di fatto non esiste in natura. L’umanità ha elaborato molteplici modelli di famiglie definendo, di volta in volta, i relativi ruoli ma in ogni caso i legami di consanguineità non sono mai sufficienti a garantire quelli parentali.
Come afferma l’antropologo Marshall Sahlins, famiglia è “reciprocità dell’essere”, è scegliersi e riconoscersi in una relazione di cura, amore e accudimento reciproci.
L’esperienza di Michela Murgia è davvero queer?
Nell’estate 2023 sul vocabolario online Treccani è comparsa una nuova voce: “famiglia queer”, ovvero una “comunità di persone che, indipendentemente dal genere d’appartenenza o dall’orientamento sessuale, vivono insieme per scelta e sono legate da affinità affettive, sentimentali e dalla condivisione delle attività”.
In questo tipo di contesto familiare le relazioni contano più dei ruoli, insomma. Ed è esattamente quello che ha sostenuto Michela Murgia, che ha condiviso con l’opinione pubblica la sua particolare esperienza di famiglia, formata da un gruppo di persone che si sono scelte reciprocamente e che hanno deciso di vivere sotto lo stesso tetto senza stabilire dei ruoli ben precisi, ma basandosi sulle relazioni che sono di per sé mutevoli e che possono cambiare nel corso del tempo.
È in questo senso che la scrittrice sarda ha parlato di “famiglia queer”, facendo riferimento sia alla sua esperienza personale di figlia d’anima sia alle teorie e alle pratiche del femminismo intersezionale.
Murgia ha rivendicato la legittimità della sua famiglia sottolineando la necessità di un riconoscimento formale da parte dello Stato che al momento non c’è. Si è sposata, infatti, in articulo mortis, proprio a sottolineare il carattere di urgenza e di mancanza di alternativa: Murgia ha dovuto contrarre il vincolo matrimoniale con Lorenzo Terenzi per far sì che alle persone della sua famiglia queer venissero riconosciuti dei diritti altrimenti negati.
In questo senso la sua decisione – e condivisione – si è configurata come un gesto profondamente politico, una rivendicazione non solo per la sua realtà familiare ma per tutte quelle che non rientrano nel modello dominante.
Le critiche dall’estrema destra
Le critiche non hanno tardato ad arrivare. In particolare, come ben sappiamo, c’è un’ala ultraconservatrice nella nostra società che considera la “famiglia tradizionale” – ovvero quella nucleare “una mamma e un papà!” – come l’unica possibile. Il tema è molto caro all’attuale governo guidato da Giorgia Meloni, che insiste ossessivamente sull’argomento dal primo giorno in cui si è insediato. L’ultima volta solo poche settimane fa, in Ungheria, con il leader di estrema destra e primo ministro del paese Viktor Orbàn: la premier ha promesso solennemente di difenderla a qualsiasi costo in quanto fondamento della nostra civiltà. Nei fatti però non sembra sia in grado di realizzare alcuna iniziativa per contrastare il calo delle nascite. Come evidenziato a più riprese dalla comunità scientifica (basti pensare alle tante pubblicazioni della sociologa della famiglia Chiara Saraceno o alle analisi demografiche di Alessandro Rosina, docente all’Università Cattolica di Milano) per favorire la natalità servirebbero politiche occupazionali efficaci, in particolare per le donne e per i giovani, e potenziamento dei servizi pubblici (asili nido, scuole a tempo pieno).
Ma Meloni pare di un altro avviso e, in concreto, alle tanto osannate famiglie tradizionali – o a chi desidera formarne una – riesce a offrire solo qualche contentino sotto forma di piccoli sussidi economici una tantum.